Per approvare o modificare lo statuto comunale serve il voto del sindaco
Il Consiglio di Stato propone una interpretazione letterale dell'articolo 6, comma 4, del Dlgs 267/2000
Con il parere n. 129/2021, il Consiglio di stato risolve due quesiti formulati dal ministero dell'Interno ricostruendo il ruolo del sindaco nell'ordinamento dell'ente locale.
In ordine alla questione relativa all'approvazione dello statuto e delle sue modifiche, i giudici propongono una interpretazione letterale dell'articolo 6, comma 4, del Dlgs 267/2000, che richiede per l'approvazione dello statuto e per le relative modifiche, in prima seduta il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati.
Si tratta infatti di un atto normativo fondamentale per il quale il legislatore ha disposto la convergenza del più elevato numero di consensi, mediante un'ampia discussione e la comparazione d'interessi da parte della maggioranza e dell'opposizione.
In caso di mancata approvazione si deve ripetere la votazione entro 30 giorni: lo statuto si ritiene approvato se ottiene per due volte, in sedute successive, il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri assegnati al collegio.
Secondo i giudici, l'articolo 6, comma 4, del Dlgs 267/2000 deve interpretarsi nel senso che, ai fini del quorum, va computato anche il sindaco, in quanto non espressamente escluso dalla norma.
Invero il sindaco è un autonomo di organo di vertice dell'amministrazione comunale, è il capo della formazione politica di maggioranza, eletto a suffragio universale e diretto, contestualmente all'elezione del consiglio comunale.
Resta però un consigliere comunale, al quale si applicano le cause di incompatibilità di sciplinate dall'articolo 3 della legge 154/1981. Come tale, secondo la giurisprudenza, deve essere computato ai fini del calcolo della maggioranza qualificata necessaria per l'elezione del presidente del consiglio comunale, in base all'articolo 39 del Dlgs 267/2000.
Il Dlgs 267/2000 ha chiaramente disposto quando il sindaco sia escluso dal computo dal quorum: per la mozione di sfiducia (articolo 52) e per lo scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali (articolo 141), nonché quando il quorum risulta designato con riferimento ai "consiglieri assegnati" (l'articolo 38, comma 2, che esclude il sindaco solo dal calcolo per la determinazione del numero minimo di componenti richiesti per rendere valida la seduta del consiglio comunale, che non può scendere al di sotto del terzo dei consiglieri assegnati all'ente).
Il secondo quesito riguarda il criterio di calcolo dell'arrotondamento, per difetto o per eccesso all'unità superiore, qualora la maggioranza richiesta per la deliberazione sia individuata dalla norma indicando con una frazione del numero complessivo dei componenti del consiglio e il risultato della divisione del numero dei componenti l'organo collegiale (o dei consiglieri assegnati) dia un resto in decimali.
Per il Consiglio di Stato si deve applicare il criterio aritmetico di arrotondamento per eccesso alla cifra intera superiore, che trova riscontro nelle consolidate conclusioni giurisprudenziali. Invece con l'arrotondamento per difetto all'unità inferiore ed il troncamento delle cifre decimali, la soglia di maggioranza si ridurrebbe al di sotto di quella richiesta ex lege.
In tal senso, in mancanza di indicazioni normative e regolamentari, è orientata anche la costante prassi delle Camere del Parlamento.