Urbanistica

Recovery Plan, la regia sarà al Mef. Sui prestiti attenzione al deficit

La nuova versione arriverà dopo il parere parlamentare: rafforzate le riforme

di Giorgio Santilli e Gianni Trovati

A Mario Draghi sono bastate poche parole per chiudere il dilemma del Recovery Plan che ha mandato a picco dopo settimane di tensioni il governo Conte-2. «La governance del Programma di ripresa e resilienza - ha detto - è incardinata nel ministero dell’Economia con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento - ha aggiunto - verrà costantemente informato sia sull’impianto complessivo, sia sulle politiche di settore».

In queste parole prende forma quella “prima linea” tecnica che rappresenterà il cuore del nuovo governo. In un rapporto stretto con il Parlamento, però, snodo su cui Draghi ha chiarito un altro aspetto fondamentale, quello dell’iter che intende seguire: il nuovo piano messo a punto dal suo governo arriverà dopo il parere delle Camere sulla bozza preparata da Conte e Gualtieri, e le osservazioni saranno tenute in considerazione dal governo per stilare la nuova versione. Contemporaneamente, però, il governo comincia a dire ora - e continuerà nei prossimi giorni - a quali linee si atterrà. Con molte novità.

Tra queste, può affacciarsi anche un ripensamento sulla scelta di prendere tutta la quota di prestiti (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) . Perché il premier ha confermato che i fondi complessivi in gioco sono vicini ai 210 miliardi, ma ha aggiunto: «La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica».

Lo stesso problema aveva impegnato il Conte-2, che aveva fissato a 40 miliardi la quota dei prestiti per progetti aggiuntivi, quelli che impattano sul deficit, assegnando agli altri 87 una funzione sostitutiva dell’indebitamento domestico per finanziare interventi già nei tendenziali di finanza pubblica. Ma nel frattempo il deficit è salito e le prospettive di crescita si sono ridotte, e l’esigenza di piegare il maxi-debito potrebbe portare a rivedere la quota di prestiti aggiuntivi. Su quelli sostitutivi, poi, il risparmio è nella differenza dei tassi di interesse, schiacciati però in questi giorni anche per i BTp vicino allo zero. L’effetto-Draghi riduce quindi il vantaggio competitivo dei prestiti comunitari. Esattamente come accade per il Mes, che infatti è sparito dalla scena.

Ma nel discorso del premier emergono novità anche sui contenuti rispetto al piano del precedente governo (che, comunque, «ha già svolto una gran mole di lavoro»): il programma dovrà essere rafforzato «prima di tutto sugli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano».

Sul primo fronte «non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni, dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti». Si profila quindi un rafforzamento dell’obiettivo di trasformazione della nostra economica in chiave green. I progetti saranno selezionati per la coerenza con gli obiettivi strategici, prestando «grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma» e assicurando inoltre che «l’impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente elevato in ciascuno dei sei anni, compreso il 2021».

Poi c’è il capitolo riforme. «Alcune riguardano problemi aperti da decenni ma che non per questo vanno dimenticati. Fra questi la certezza delle norme e dei piani di investimento pubblico, fattori che limitano gli investimenti, sia italiani che esteri». Largo spazio anche alla concorrenza, alla riforma fiscale alla pubblica amministrazione. «Negli anni recenti - ha detto Draghi - i nostri tentativi di riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo disegnato le riforme: con interventi parziali dettati dall'urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza».

E proprio al Recovery tocca il compito di dare quella visione d’insieme in cui inserire le singole riforme.

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