Il CommentoPersonale

Come formare i manager pubblici per gestire il Pnrr

di Veronica Vecchi

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), in quanto programma per realizzare investimenti di lungo termine, richiede la capacità di attivare modelli collaborativi pubblico-privato. Non si tratta di una prospettiva solo nazionale. D'altra parte, è ormai evidente che il privato ha un ruolo sempre più cruciale nella generazione di valore pubblico, ovvero per la società, anche sotto la spinta di logiche di investimento Esg, del progressivo passaggio dallo shareholder allo stakeholder capitalism e della crescente attenzione verso logiche di impact investing.

Questo approccio collaborativo non è monolitico e sarebbe riduttivo declassarlo ai soli contratti di Ppp, che stanno vivendo, finalmente, una nuova vita nell'ambito del Pnrr. Si tratta della modalità scelta a livello centrale per la realizzazione del Polo strategico nazionale (Psn) e della piattaforma nazionale di telemedicina. Le collaborazioni sono riconducibili a tre livelli, macro (policy), meso (istituzionali) e micro (progettuali). A livello macro, ci sono le collaborazioni informali volte a stimolare, potenziare e catturare la capacità del mercato di investire secondo logiche di lungo termine e di sostenibilità, attraverso, per esempio, regolamentazione e incentivi fiscali ad hoc. A livello meso, troviamo collaborazioni con le quali attori pubblici e privati mettono a sistema risorse finanziarie e non, per contribuire a un obiettivo condiviso. Ne sono un esempio le iniziative di Cassa depositi e prestiti, quale banca di sviluppo, e i programmi di blended finance che potrebbero essere realizzati anche a valere sui fondi strutturali, come raccomandato anche dalla Ue, in sostituzione del tradizionale contributo, basati su layer di capitali correlati a diversi gradi di assunzione del rischio, molto importanti per attirare investitori istituzionali o capitali retail, più avversi al rischio, su iniziative strategiche. Infine, a livello micro, troviamo il procurement, nelle sue varie declinazioni, con contratti di appalto o concessioni (Ppp). Questi contratti, al di là dell'atteso nuovo Codice dei Contratti, potrebbero giocare un ruolo sostanziale, come reale driver di innovazione per stimolare la competitività e produttività delle imprese (si pensi all'impiego di nuovi materiali in grado di ottimizzare i costi di manutenzione, a soluzioni di circularity o a modelli più efficaci di gestione della sicurezza sui cantieri) e per offrire migliori soluzioni ai cittadini, se le amministrazioni sapessero assumere un ruolo di buyer sofisticato, che richiede competenze, allineamento con il mercato e coraggio di uscire fuori dagli schemi dell'«abbiamo sempre fatto così» o della paura dei ricorsi o della Corte dei Conti.

Per attivare questi modelli collaborativi non servono certo nuove regole del gioco, quanto piuttosto, a tutti i livelli istituzionali, una nuova postura della pubblica amministrazione, più ambiziosa, grazie a un network di manager capaci di visione e leadership, che sappiano guidare una squadra di tecnici, creare alleanze con altre istituzioni coinvolte nei processi decisionali, sviluppare e consolidare rapporti di dialogo con il mercato, sperimentare nuove progettualità, nei contenuti e nei modelli attuativi. Tutto ciò non rappresenta che un managerial flow, un flusso di azioni coordinate di management, dentro il pubblico e tra pubblico e privato.

Non si tratta di una missione impossibile, in considerazione del fatto che questo già avviene, seppur sotto traccia e a macchia di leopardo. Servirebbe, dunque, promuove e scalare questo managerial flow. Come? Certamente non con assistenze tecniche calate dall'alto; né tantomeno con mini programmi formativi di tipo nozionistico che, seppur necessari, sono spesso avulsi dai fabbisogni reali e dalle progettualità in fieri. Dovrebbero, piuttosto, essere selezionate alcune amministrazioni pilota, sostenute istituzionalmente a realizzare progettualità sperimentali e innovative, da valorizzare e scalare, quale modalità per creare e far crescere un network di manager pubblici virtuosi che sappiano trainare il cambiamento, assieme, come squadra, assumendosi il rischio del cambiamento con senso d'urgenza, capaci di dialogare con il mercato per individuare nuovi modelli, soluzioni e percorsi collaborativi.

Il Pnrr porterà certamente importanti cambiamenti, ma in questa corsa al fare investimenti, la sensazione è che finito il Pnrr il management pubblico non sarà cambiato in modo sistemico, che una parte del mercato non sarà evoluta e che il rapporto pubblico-privato non sarà effettivamente maturato per consolidare modelli di collaborative governance, tanto necessari in un contesto estremamente instabile e quindi sempre più complesso.