Effetti costitutivi della dichiarazione Imu per gli enti non commerciali
Con l’approssimarsi del 30 giugno, si avvicina il termine entro cui, in base ai commi 769 e 770 della legge 160/2019, devono essere presentate le dichiarazioni Imu relative al periodo d’imposta 2024.
Questa incombenza, spesso sottovalutata dai contribuenti in quanto ritenuta una mera formalità a fronte della situazione sostanziale, ha assunto sempre più valore determinante tanto da diventare, in alcune ipotesi, la conditio sine qua non per poter fruire dell’esenzione/agevolazione da applicare al caso di specie.
E una di queste ipotesi è, senza dubbio, riferibile ai cosiddetti enti non commerciali (richiamati nella lettera g del comma 759 della legge 160/2019) per i quali il comma 770 prevede una particolare dichiarazione, differente da quella utilizzata dalla generalità dei soggetti passivi Imu, sia per la scelta del modello da presentare (la cui approvazione, con le relative istruzioni, è avvenuta col Decreto Ministeriale 24 aprile 2024), sia per la periodicità di presentazione (non vale la regola della ultrattività della dichiarazione, ma la stessa va presentata per ogni singola annualità) sia per le modalità di presentazione (va presentata esclusivamente in forma telematica).
Ci ha ricordato l’importanza del corretto assolvimento di questo obbligo la sentenza n. 52/2025 della Corte di Giustizia di primo grado di Massa Carrara, Sez. I, che, nel respingere il ricorso di un contribuente avverso un avviso di accertamento per omesso pagamento Imu per l’annualità 2019, ha sviluppato anche delle considerazioni interessanti su contraddittorio preventivo, possibilità di ravvedimento operoso e applicazione delle sanzioni.
Parte ricorrente aveva eccepito l’annullabilità dell’avviso di accertamento per violazione del nuovo articolo 6-bis dello Statuto dei diritti del contribuente legge 212 del 2000 in quanto l’Ente non avrebbe fatto precedere l’avviso di accertamento da un contraddittorio informato ed effettivo con il contribuente.
Ebbene, la Corte, emanando una delle prime pronunce su questo nuovo istituto in vigore, per gli enti locali, soltanto dal maggio scorso, ha smentito categoricamente l’applicabilità di questo principio al caso di specie in quanto «l’atto in questa sede impugnato rientra tra quelli esclusi dal contraddittorio preventivo trattandosi di un avviso di accertamento per omesso o parziale versamento con cui il Comune procede alla liquidazione (ossia al calcolo) del tributo dovuto sulla base dei dati disponibili e stante l’assenza di qualsivoglia dichiarazione prevista a pena di decadenza per poter beneficiare di agevolazioni fiscali; si tratta, in sostanza, di un atto relativo a violazioni emerse esclusivamente dall’incrocio di informazioni presenti nelle banche dati a disposizione dell’ente impositore».
Molto semplice e lineare il ragionamento fatto: poiché non esiste alcuna dichiarazione per una fattispecie che la legge pone a pena di decadenza dal benefico fiscale, l’avviso rientra tra quelli emessi in maniera automatizzata in virtù del mero incrocio della soggettività passiva in capo al ricorrente (l’essere titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale) con il mancato pagamento.
Anche nel merito della questione la Corte ha ritenuto infondato il ricorso «in considerazione del fatto che, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, in realtà quest’ultima non ha presentato alcuna dichiarazione Imu nei termini di legge prevista a pena di decadenza dal beneficio della prevista agevolazione».
La motivazione addotta si snoda tra due ordini di motivi.
Il contribuente, infatti, aveva eccepito di aver ottemperato all’obbligo dichiarativo sia attraverso la notifica al Comune di un ricorso per l’annualità precedente (ricorso, poi, mai depositato presso il giudice tributario), sia attraverso la presentazione tardiva della dichiarazione medesima.
Il giudice massese ha respinto entrambe le eccezioni chiarendo che, qualora l’avviso per l’anno 2018 fosse stato correttamente impugnato, questo fatto non avrebbe avuto alcuna rilevanza sul caso di specie in quanto l’ente avrebbe conosciuto la volontà dell’ente soltanto nell’anno 2023 e quindi ben oltre il termine del 30 giugno del 2020 «termine ultimo a pena di decadenza per beneficiare dell’esenzione per l’annualità in contestazione (anno 2019)». Ma pure la dichiarazione presentata nell’anno 2024, per l’anno 2019, non può certo avere «alcun effetto giuridico».
L’elemento da sottolineare e di novità di questa pronuncia è correlato alla impossibilità di procedere al ravvedimento operoso della dichiarazione medesima dopo il termine dei 90 giorni previsto dall’articolo 13 comma 1 lettera c del Dgs 472/97.
Come noto, qualche dubbio in proposito era stato avanzato nel corso di Telefisco 2024, laddove il Mef aveva aderito a una interpretazione secondo cui per i tributi locali non esisterebbe un discrimine tra dichiarazione tardiva e dichiarazione omessa così da essere sempre possibile procedere col ravvedimento operoso anche con dichiarazioni presentate ben oltre i 90 giorni dal termine di scadenza.
Ebbene, nella Sentenza in commento si legge in maniera esplicita che «La dichiarazione a cui fa riferimento la ricorrente […] è una è una dichiarazione telematica presentata non entro il termine decadenziale del 30 giugno 2020 bensì solo in data XX/YY/2024, addirittura successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento in questa sede impugnato e pertanto alcun effetto giuridico può essere attribuito a tale dichiarazione. Né nel caso in esame è possibile fare riferimento ad un eventuale ravvedimento operoso dell’omessa dichiarazione, quest’ultimo consentito dall’articolo 13, comma 1 lettera c del Dlgs 472/97 solo entro i 90 giorni successivi alla scadenza del termine ordinario di presentazione, versando la sanzione per omessa dichiarazione ridotta a un decimo del minimo e i relativi interessi e, pertanto, nel caso di specie, possibile solo fino al 28.09.2020 ma non certo al XX/YY/2024, dopo la notifica dell’avviso di accertamento».
Il giudice, pertanto, ha espresso chiaramente il concetto secondo cui, a prescindere dalla notifica dell’avviso di accertamento, la dichiarazione non può produrre alcun effetto giuridico in quanto presentata dopo i 90 giorni dal termine perentorio e decadenziale disposto dalla Legge: così facendo viene smentita la suddetta tesi ministeriale.
Da un punto di vista interpretativo, va nel senso suggerito dalla Corte di merito anche il nuovo articolo 13, comma 1, lettera c del Dlgs 472/97, così come modificato dal Dlgs 87/2024 e applicabile alle violazioni avvenute dopo il 1° settembre 2024, che, in maniera ancor più netta rispetto alla precedente stesura, ha affermato che «la riduzione della sanzione è, in ogni caso, esclusa nel caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a novanta giorni»: appare, pertanto, difficile conciliare l’interpretazione sostenuta in Telefisco, avvenuta il 1° febbraio 2024, con la stesura del nuovo articolo 13, comma 1, lettera c, avvenuta col decreto legislativo del giugno 2024.
E non sarebbe la prima volta che si assiste a un cambio di orientamento: basti pensare a quanto detto proprio in merito all’obbligo dichiarativo per Enc, beni merce, alloggi sociali e forze armate nel corso di Telefisco 2021 e quanto, invece, detto in Telefisco 2023.
E infatti l’altro motivo ben messo in rilievo dalla Corte massese è l’evoluzione giurisprudenziale che la Corte di cassazione ha avuto sul tema dell’obbligo dichiarativo e sulla perentorietà del termine del 30 giugno, il cui mancato rispetto comporta la decadenza del beneficio.
Vengono, infatti, citate le ormai note pronunce 21465/2020, 5190/2022; 37385/2022, 23584/2023, nonché, da ultimo, la Sentenza 24200/24 che, puntualizzando ulteriormente la questione, ha fatto concludere al Giudice di merito che «il riconoscimento del benefico in esame postula l’assolvimento dell’obbligo dichiarativo entro un determinato limite temporale che l’articolo 2, comma 2, del Dl 102/2013 ha considerato avente natura decadenziale e che, in ogni caso, va considerato perentorio in ragione dello scopo perseguito e della funzione assolta, anche ove mancasse una espressa indicazione della norma».
Da ultimo, in questa Sentenza è stato riaffermato il principio secondo cui è soltanto il Giudice l’unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.
A fronte dell’eccezione sollevata dal ricorrente secondo cui la norma sull’esistenza dell’obbligo dichiarativo a pena di decadenza sarebbe stata incerta così da chiedere la disapplicazione delle sanzioni, la Corte ha affermato che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva solo quando sia ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per la loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al Giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 01.02.2019, n. 3108). Ai fini della fattispecie in esame viene esclusa qualsiasi rilevanza delle condizioni soggettive, quale appunto la mancanza di colpa rilevata dal contribuente. La sanzione scatta per il mancato pagamento di quanto dovuto; pertanto, la sanzione deve essere confermata anche in questa sede».
Al di là di come è stato risolto il caso concreto, ciò che va messo in evidenza è l’affermazione secondo cui nemmeno l’ufficio finanziario ha il potere di accertare una situazione di incertezza normativa in quanto tale potere-dovere spetta in esclusiva al Giudice.
In conclusione, ciò che si può trarre da questa pronuncia è che:
- in caso di omessa presentazione di una dichiarazione avente natura perentoria e decadenziale non è necessario il contraddittorio preventivo previsto dall’articolo 6-bis della legge 212/00;
- non è possibile effettuare il ravvedimento operoso su una dichiarazione decorsi 90 giorni dal termine stabilito dalla legge;
- soltanto il giudice tributario può disapplicare le sanzioni amministrative tributarie in caso di incertezza normativa.
(*) Docente Anutel
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