Facoltativa la notifica impersonale e collettiva agli eredi del contribuente
La Corte di cassazione è tornata sulle regole di notificazione degli atti impostivi nel caso di decesso del contribuente, scrutinando le previsioni dell’articolo 65 del Dpr 600/1973.
La questione affrontata dalla sentenza n. 11097/2025 riguarda la notifica di un avviso di accertamento in materia di tributi locali, intestato a un contribuente defunto; la stessa deve essere effettuata impersonalmente e collettivamente agli eredi, presso l’ultimo domicilio del de cuius, qualora questi non abbiano presentato la comunicazione prevista dall’articolo 65 citato, in base al quale gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. La comunicazione può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione.
Qualora detta comunicazione sia stata invece presentata, la notifica deve essere effettuata individualmente e nominativamente, nei confronti del singolo erede, nel proprio domicilio fiscale.
Tuttavia, la Corte ha precisato che la possibilità di notificare l’avviso impersonalmente e collettivamente agli eredi, in assenza di comunicazione, è una mera facoltà dell’ente impositore; pertanto, laddove l’ente sia a conoscenza del decesso del contribuente e conosca il nominativo del singolo erede, può notificare l’atto nelle mani di quest’ultimo. Sempre in relazione ai tributi locali, la Cassazione, con la sentenza n. 15544 del 1/6/2023, ha specificato che mentre la comunicazione configura un vero e proprio onere, diretto a consentire agli uffici finanziari di «azionare direttamente nei confronti degli eredi le obbligazioni tributarie, il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del de cuius», la notificazione impersonale collettiva degli atti intestati al dante causa al domicilio dello stesso, viceversa, sia una mera facoltà dell’amministrazione finanziaria e non un obbligo. In sostanza, la notifica impersonale e collettiva rappresenta uno strumento a tutela della pretesa erariale, mentre la comunicazione è un onere per gli eredi, il cui inadempimento consente agli uffici di utilizzare lo strumento semplificato della notifica impersonale e collettiva, indipendentemente da quanto tempo è passato dall’apertura della successione.
In definitiva, se gli eredi hanno presentato la comunicazione, l’ente impositore deve notificare l’atto riferito al de cuius personalmente ai singoli eredi al loro domicilio; se gli eredi non hanno provveduto ad alcuna comunicazione, l’ente può decidere se avvalersi della notifica impersonale e collettiva ovvero, se conosce l’esistenza degli eredi ed il loro domicilio, notificare la pretesa direttamente agli stessi. Resta il problema delle conseguenze del mancato buon esito della notifica impersonale e collettiva presso l’ultimo domicilio del de cuius; in tale caso, infatti, la giurisprudenza non ha chiarito l’applicabilità dell’articolo 140 del codice di procedura civile o dell’articolo 60, comma 1, lettera e, del Dpr 600/1973, ossia delle procedure per irreperibilità relativa (sicuramente non applicabile nel caso di notifica effettuata nei confronti del de cuius, poiché questo caso non è equiparabile alla irreperibilità, cassazione, sentenza n. 30736/2021).
La sentenza in commento ha il pregio di confermare che tale modalità di notifica si applica anche ai tributi locali. Va specificato, inoltre, che la giurisprudenza ha chiarito che la comunicazione non è sostituita dalle indicazioni contenute nella dichiarazione dei redditi o in quella di successione (Cassazione, 228/2014-5022/2022).
Se la mancata conoscenza degli eredi non comporta ostacoli alla notifica, nel caso in cui la notifica impersonale e collettiva presso l’ultimo domicilio del de cuius non sia possibile ovvero, quanto notificato l’atto si tratta di avviare le procedure esecutive, è necessario conoscere gli eredi. Va ricordato, infatti, che nessuna notifica o pretesa, relativa a rapporti tributari riferiti al periodo antecedente al decesso, possono essere effettuati nei confronti dei chiamati all’eredità, cioè i soggetti che la legge individua come potenziali eredi. Sono eredi i chiamati che hanno accettato espressamente o tacitamente l’eredità, accettazione che retroagisce sempre alla data di apertura della successione e che deve intervenire entro 10 anni da quest’ultima data. La prima si verifica quando ricorre un atto scritto, soggetto all’obbligo di trascrizione quando l’eredità comprende anche beni immobili o diritti reali sugli stessi; la seconda invece si verifica quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. L’accettazione tacita è soggette a trascrizione solo in caso in cui il soggetto intende disporre dei diritti sui beni immobili sorti con l’accettazione. L’accettazione tacita ricorre, oltre quando il chiamato è in possesso dei beni ereditari (non il coniuge superstite che dispone dell’abitazione coniugale, in quanto posseduta a titolo di diritto di abitazione ex articolo 540 del codice civile, laddove la stessa sia stata di proprietà del de cuius o in comproprietà tra il coniuge superstite e quest’ultimo), anche quando il soggetto compie atti che hanno valenza sia civile che fiscale (Cassazione, 1428/2020). Mentre non si ha accettazione tacita se il chiamato presenta la dichiarazione di successione, poiché per accettare deve compiere atti incompatibili con la volontà di rifiutare, tra i quali non rientra l’adempimento di un obbligo fiscale (Cassazione 3611/2016). Così l’accettazione tacita non deriva neanche dalla mancata impugnazione di un avviso di accertamento intestato al de cuius allo stesso notificato, oppure dal pagamento dei debiti ereditari (o sorti dopo il decesso) con denaro proprio (non anche se si utilizza il denaro dell’eredità). Mentre costituiscono atti di accettazione tacita la presentazione della voltura catastale ovvero la concessione di un immobile del de cuius in locazione. L’individuazione della qualifica di erede può avvenire accedendo al registro delle successioni, presso il tribunale, in cui sono iscritte le dichiarazioni di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, le rinunce all’eredità, le nomine del curatore dell’eredità giacente. In alternativa, seppure con minore capacità informativa, si può accedere alla conservatoria dei beni immobili, pur tenuto conto della minore capacità informativa, considerato che nel caso di accettazione tacita la trascrizione è facoltativa (articolo 2648 del codice civile, comma 3, se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità, si può richiedere la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente).
Infine, si evidenzia che la sentenza in commento ha ribadito che la responsabilità degli eredi nei tributi locali non è solidale, come avviene per quelli erariali a mente dell’articolo 65 del Dpr 600/1973, in quanto per i tributi locali non vi è un’espressa deroga al principio generale della ripartizione pro quota tra i coeredi del debito del de cuius. Per cui, in tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune prevista dagli articoli 752 e 1295 del codice civile, in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie.
(*) Vice presidente Anutel
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