Appalti

Recovery plan: giusto semplificare, ma per aiutare gli investimenti rafforziamo anche il Ppp

Non per colmare l'assenza di risorse (che ora ci saranno) ma per sfruttare le capacità di supporto innovativo e procedurale degli operatori privati

di Velia M. leone

L'approvazione del Pnrr da parte delle Camere e l'invio dello stesso a Bruxelles aprono nuove ed importanti prospettive per l'economia ed il futuro del Paese, specie in relazione alle infrastrutture, materiali e non. La prospettiva di maggiori risorse fruibili, nell'ambito delle varie disposizioni adottate a livello Ue - oltre a quelle aggiuntive nazionali - non deve, tuttavia, ingenerare - soprattutto nelle amministrazioni - la falsa percezione che tali risorse possano, immediatamente, soddisfare tutte le loro esigenze - strutturali, infrastrutturali e di servizi - e risolvere le carenze del sistema a tutti i livelli. Occorre, infatti, tenere in considerazione - da un lato - il fatto che il Pnrr si focalizza solo su alcune aree strategiche, quantunque trasversali e indubbiamente ampie (135 investimenti raggruppati in 16 componenti, suddivisi in sei missioni accompagnate, inoltre, da riforme abilitanti destinate a garantire attuazione e massimo impatto agli investimenti, nonché riforme settoriali specifiche, indirizzate a determinati settori o azioni), ma non in grado di ricomprendere il complesso dei bisogni infrastrutturali del Paese, e - dall'altro - il non facile incastro tra queste disponibilità finanziarie ed il Codice dei contratti pubblici. La questione è molto dibattuta ed il tema necessita di seria attenzione.

La variabile tempo - draconianamente dettata dalla scansione delle tempistiche per la fruizione dei fondi Pnrr - rende, peraltro, poco realistico ipotizzare una revisione ragionata ed efficiente del Codice - bisognava pensarci prima -, senza contare che l'introduzione di nuove norme - anche ove ispirate dalle migliori intenzioni di policy, come nel caso del decreto Semplificazioni - stenta a trovare piena ed immediata attuazione perché, comunque, le novità normative richiedono un periodo di sedimentazione e una fase di transizione, difficoltà che sussistono nonostante gli sforzi acceleratori profusi dalle Infrastrutture nei vari pareri interpretativi rilasciati.

Dunque, la soluzione più ragionevole e pragmatica - nell'immediato - è proseguire (come sembra essere intenzione del Governo, mediante un decreto di prossima adozione) nel solco delle modifiche normative già introdotte - Dl Semplificazioni -, rafforzandone la portata, ampliandone il raggio d'azione e rendendole stabili, per evitare confusioni ed errori sul corretto regime giuridico da applicare alle specifiche procedure. Quest'ultima soluzione appare essere quella più efficace ed efficiente per consentire l'accelerazione dell'agere della Pa, e ben s'inserisce nel quadro complessivo degli sforzi intrapresi dal Governo per rafforzare la pubblica amministrazione, non solo finanziariamente, ma anche in termini di competenze e capitale umano.

In questo complesso quadro, tuttavia, l'attenzione dell'Esecutivo sembra, al momento, essersi concentrata, primariamente, sulle procedure di affidamento dei contratti di appalto, dimenticando un altro strumento - di pari dignità giuridica a livello di Codice, stante il diretto riferimento alla direttiva Concessioni -, ma, per molti versi, più efficace ed efficiente, ossia i contratti di partenariato pubblico privato, la cui fruizione deve essere intesa non solo - e, per molti versi, riduttivamente - come un succedaneo delle carenti risorse pubbliche - oggi, peraltro, almeno astrattamente, più copiose -, quanto, piuttosto, come uno strumento essenziale per poter usufruire delle capacità di supporto innovativo e procedurale degli operatori privati, strumentale ad incrementare proprio il miglior agere della Pa. Ma procediamo con ordine.

Se analizziamo il tema della realizzazione delle infrastrutture - materiali e non -, il primo ostacolo che le amministrazioni devono affrontare è la progettazione, che si porta dietro le ulteriori attività afferenti verifica e validazione di ciascun livello della stessa, previste dall'art. 23 del Codice, a meno di non voler accorpare qualche livello progettuale, come già consentito dal Codice stesso: mansioni, queste, incrementalmente più complesse in funzione del valore del progetto e dell'approfondimento del livello progettuale. Che questo sia uno dei nodi centrali per consentire l'accelerazione della realizzazione delle infrastrutture in Italia è confermato dall'ipotesi di ampliamento del perimetro del c.d. appalto integrato, che, sulla scia di quanto già ripristinato dal c.d. Sblocca-cantieri, e confermato dal decreto Semplificazioni, ha sospeso il divieto di ricorso a tale istituto (cfr. art. 59 Codice), consentendo l'affidamento di progettazione esecutiva ed esecuzione dell'appalto nell'alveo della medesima procedura di aggiudicazione.

Oggi, le prime notizie sulle modifiche al Codice che il Governo intenderebbe introdurre sembrano ipotizzare che, a base delle gare per l'affidamento di contratti di appalti, relativamente agli interventi inclusi nel Pnrr, sia posto solo il progetto di fattibilità tecnico economica (Pfte), così, letteralmente, invertendo la ratio del Codice, che, originariamente, prevedeva che tali procedure potessero essere indette solo a fronte di una progettazione esecutiva - o definitiva-esecutiva -, onde evitare il proliferare di varianti in fase di esecuzione del contratto.

Chiaramente, le esigenze sono cambiate ed ora c'è l'urgenza di spendere velocemente i soldi del Pnrr. Ma ricordiamoci anche che le risorse del Pnrr devono essere spese bene, pena il ben noto problema della restituzione delle stesse in un secondo momento, come è spesso avvenuto con i Fondi Strutturali Ue, stigma dell'Italia.

Questa difficoltà strutturale del nostro Paese - di recente riconosciuta anche dallo stesso Presidente del Consiglio - potrebbe essere risolta facendo ricorso - per gli interventi suscettibili di essere strutturati mediante Ppp - alle procedure dell'art. 183, commi 1-14 (in cui la Pa parte dal Pfte) o, ancor meglio, a quella dei commi 15 e ss., ossia la proposta a iniziativa privata, in cui il ruolo della Pa è di analizzare - con l'intento di valutarne la fattibilità - il Pfte presentato dagli operatori economici e facente parte della proposta. Il predetto comma 15 prevede tre mesi quale termine perentorio per la valutazione della proposta stessa ma, di fatto, in assenza di sanzione per lo sforamento dello stesso, l'effettività della previsione è, sostanzialmente, vanificata. Un irrobustimento della suddetta previsione potrebbe essere un buon punto di partenza per rendere anche queste procedure più agili, magari ampliando il termine stesso, ma rendendolo effettivamente perentorio.

In più, il ricorso al Ppp - soprattutto, ma non solo, mediante le procedure dell'art. 183 del Codice - avrebbe il vantaggio - con un'unica procedura e, quindi, in tempi ragionevolmente veloci - di affidare sia la realizzazione, che la gestione dell'infrastruttura, garantendo la qualità della stessa nel tempo, in un'ottica di "ciclo di vita" e, dunque, in piena coerenza con gli obiettivi di più ampio respiro propri del Pnrr, ossia dare un miglior futuro alla qualità dei servizi pubblici, creando un effetto-trascinamento anche dopo che i fondi siano stati spesi. Tale approccio consentirebbe anche di superare, almeno durante la fase di esecuzione dei contratti di concessione, l'annoso problema delle manutenzioni, attività che resta, in questi casi, in capo al concessionario, sino alla conclusione del contratto, tra i cui obblighi rientra anche quello di consentire alla Pa, al termine del contratto stesso, di entrare in possesso di un bene - o di un insieme di beni, comprensivo sia dell'infrastruttura, sia delle attrezzature necessarie per il suo utilizzo - in perfette condizioni di fruibilità. Chiaramente, ciò implica che durante l'intera fase di esecuzione del contratto, la controparte pubblica eserciti un controllo attento, sia in termini qualitativi che quantitativi, svolgendo un puntuale monitoraggio sull'esecuzione contrattuale e il raggiungimento dei livelli di qualità prefissati.

Tale monitoraggio è prescritto, espressamente, dall'art. 181, comma 4 del Codice, solo per le concessioni ma, in realtà, dovrebbe divenire un costante modus operandi delle amministrazioni che, essendosi in parte liberate della responsabilità operativa di progettare l'opera - fermo restando il non delegabile e fondamentale ruolo della programmazione - e di gestire il servizio, si devono maggiormente impegnare sulla vigilanza in fase esecutiva del contratto, non in termini di mera contabilità e adempimento tecnico, ma per valutare parametri più ampi di fruibilità e raggiungimento degli standard qualitativi e quantitativi da parte dell'operatore economico gestore. Ciò implica l'acquisizione di competenze diverse - la pubblica amministrazione che passa da project manager a controllore e verificatore dell'esecuzione del contratto - e l'allocazione di risorse in momenti diversi rispetto alla singola operazione - scanditi dalla sua programmazione sino alla fase finale del contratto di concessione -, così spostando il focus dell'attenzione sull'esecuzione del contratto: vero cuore dell'intera operazione, di cui la procedura deve essere solo il necessario strumento operativo.

In tal senso, le risorse dedicate ad attività di rafforzamento - sia quantitativo, che qualitativo - della Pa, attraverso le diverse misure congegnate nel Pnrr, sicuramente necessarie, sarebbero ben spese se potessero coniugarsi con le capacità esecutive ed innovative degli operatori economici, cui la Pa si deve rivolgere per stipulare i contratti pubblici. Una trasparente e fruttuosa relazione pubblico-privato può essere alla base di tutta la rinascita del Paese dopo la tremenda crisi attuale. Ma sarà solo riconoscendo le rispettive e diverse competenze che ognuno potrà fare bene la propria parte. Sempre più spesso le amministrazioni si rivolgono, legittimamente, agli operatori economici per sollecitare loro idee e proposte, così da colmare quell'asimmetria informativa che, in alcuni casi, potrebbe indurle a lanciare procedure destinate al fallimento, tanto in fase di affidamento, quanto, ancor di più, durante la fase di esecuzione dei contratti.

Questo modus operandi dovrebbe essere incoraggiato per dare un'accelerazione alla capacità dell'amministrazione di porre in essere procedure efficienti ed efficaci, non solo comprimendo le tempistiche procedurali, ma, soprattutto, usufruendo delle capacità imprenditoriali degli stessi operatori privati. Questa rinascita potrà trovare un fertile terreno solo ove le amministrazioni, a fronte di stimoli e proposte da parte del settore privato, si adoperino alacremente e in buona fede a valutarle - e, ovviamente, modificarle, ove non rispondenti all'interesse pubblico -, così da attuare quanto proposto nei modi e tempi più efficienti. La causa dei contratti di Ppp - le concessioni - è economico-finanziaria, come riconosciuto dal Consiglio di Stato: dunque, i tempi di esecuzione dell'intero intervento - programmazione, valutazione di fattibilità e procedura di affidamento - devono essere il più celeri possibile - ancorché nel rispetto delle norme e dei principi applicabili, nonché della salda tutela dell'interesse pubblico -, così da rispettare la volatilità e dinamicità del mercato finanziario, cui gli investimenti - anche quelli inclusi nel Pnrr - sono, imprescindibilmente, legati. Anche così, si può pensare di spendere bene e celermente una parte dei fondi del Pnrr e di coprire le variegate esigenze del Paese, senza, peraltro, introdurre modifiche normative.

Detto altrimenti, occorre impostare una nuova stagione di fiducia e collaborazione - appunto - tra le controparti pubbliche e private, in cui, ognuna per la propria parte, nel chiaro - e costituzionalmente distinto, ma riconosciuto - ruolo delle parti, svolga bene la propria funzione. Dunque, ben venga un rafforzamento della pubblica amministrazione, atto a superare incomprensioni ed idee preconcette, attraverso un'iniezione di competenze e capacità di fare bene. Ma quest'impostazione potrà funzionare solo se ai soggetti privati sarà consentito di contribuire agli obiettivi perseguiti dalla Pa, nel pieno rispetto dei principi del Codice e nel modo più efficiente possibile.

Infine, una annotazione: seppur ora si prospetti una più ampia disponibilità di risorse pubbliche, questo non vuol dire che il nostro debito pubblico - che, oggi, raggiunge quasi l'esorbitante percentuale del 160% del Pil - sparisca magicamente attraverso la veloce spesa dei fondi del Pnrr, specialmente perché i finanziamenti previsti sono solo in parte erogati a fondo perduto (grants), mentre, in quota maggiore, sono erogati sotto forma di prestito (loans) e, in particolare, in tale ultimo caso, si tratta di soldi che l'Italia dovrà restituire, quantunque a condizioni estremamente vantaggiose. Tale capacità di restituzione è strettamente legata alle prospettive di crescita del Paese, che potranno avverarsi solo con il contributo di tutti e, in particolare, se gli operatori economici saranno in grado di creare ricchezza, non solo grazie alle procedure messe in campo dalla Pa, ma anche al proprio contributo ideativo. Inizi, dunque, una nuova stagione di vera e leale collaborazione pubblico-privata per garantire a tutti un futuro migliore.

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