Il CommentoFisco e contabilità

Consulta sulle anticipazioni di liquidità, c'è bisogno di interventi strutturali

di Ettore Jorio

Draghi sarà uguale agli altri? É questa la domanda che sono in tanti a porsi in questi giorni a seguito di due eventi: uno certo; l'altro verosimile.

Il primo è costituito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 29 aprile scorso, confermativa della ratio che portò il Giudice delle legge a pronunciare l'omologo provvedimento n. 4/2020. Il secondo è rappresentato dalle intenzioni del Governo che, pare, si stia accingendo, per l'ennesima volta e a pedissequa imitazione di quelli che lo hanno preceduto, a soccorrere quei Comuni e quei sindaci che hanno abbondantemente dato prova di non esaltanti perfomance gestionali. A tal punto da generare esiti nettamente fallimentari, per complessivi miliardi di euro. Il tutto con il limite di aver dato poco alle rispettive collettività in termini di servizi e prestazioni essenziali, salvo gonfiare indebitamente la spesa corrente, funzionale a generare il consenso più improvvido.

Il problema sul tappeto è troppo serio per essere trattato come sempre, a cominciare dal supporto altamente istituzionale a suo tempo assicurato per salvare più il sindaco in carica che la città di Napoli. Una Città che vive oggi una situazione di indecorosa precarietà del proprio bilancio (e di quello delle sue partecipate), ampiamente stigmatizzato dagli assessori al ramo che si sono avvicendati vertiginosamente alla guida della Capitale partenopea. Ciò in continuità con quanto rilevato di recente dal magistrato contabile campano. Stessa cosa è accaduta nella Città dello Stretto, forse con assessori meno apertamente critici ma con una Sezione regionale di controllo della Corte dei conti che ha dimostrato di sapere il fatto suo.

Non è così che si fa, soprattutto in una convivenza europea - che ci gratifica con circa 250 miliardi di euro destinati alla trasformazione reale del Paese - fatta di Stati membri che pretendono il rispetto delle regole poste a tutela della buona amministrazione. Un tema che Draghi conosce bene e che certamente saprà affrontare diversamente dai due predecessori.

Il tema dei deficit patrimoniali affligge pesantemente tutto il sistema pubblico. Con le Regioni che giocano con i loro bilanci consolidati senza le necessarie preventive pretese di pulizia di quelli delle partecipate in senso lato, ampiamente imitate dagli enti locali meno rispettosi delle prescrizioni che l'ordinamento impone in proposito. Per non parlare della sanità che senza le necessarie riforme, soprattutto riferite alla metodologia di finanziamento fondato (assurdamente) sulla spesa storica, sprofonda sempre più, con alcune regioni (Calabria in primis) già in prossimità «dell'inferno».

Insomma, in un periodo storico in cui la buona amministrazione sembra essere invocata unicamente dalla magistratura contabile, di quella che poi ha stimolato e prodotto le sentenze della Consulta, è compito del Governo dare la stura al cambiamento. Questa è l'aspettativa di tutti coloro i quali pretendono di essere ben governati e amministrati senza ingigantire l'indebitamento oramai arrivato a invadere i doveri dei pronipoti.

Dunque, riforme strutturali piuttosto che le solite misure estemporanee destinate a salvare le teste di ieri e di oggi salvo condannare la comunità nazionale a pagare pesantemente pegno, ma anche quelle apparentemente beneficiate dai rituali provvedimenti ad personas.

Alla collettività nazionale, considerata la nutrita mappa degli enti in default (NT+EntiLocali&Edilizia dell'11 maggio 2021) ancora tali nonostante le ricorrenti e consistenti agevolazioni finanziarie godute, occorrono le certezze di oggi e del domani. Quelle certezze che solo una attenta riforma della disciplina afferente al dissesto potrà assicurare, risolvendo l'indebitamento consolidato, senza penalizzare eccessivamente il ceto creditorio, e rilanciando gli investimenti necessari, sino ad oggi effettuati senza la necessaria coscienza e capacità programmatoria.