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La fase pilota della riforma accrual: una corsa in salita su doppio binario

di Andreas Grobner (*) –Rubrica a cura di Ancrel

La riforma 1.15 del Pnrr entra nel vivo. Dopo due fasi preliminari - lo studio iniziale e la successiva progettazione, completata solo nel 2024 - prende avvio la terza fase, quella della fase pilota, cruciale per preparare l’attuazione graduale della riforma accrual prevista a regime a partire dal 2027. È un passaggio delicato, com’è naturale in ogni grande operazione di riorganizzazione contabile e informatica: si tratta infatti di riscrivere dalle fondamenta il modo in cui tutta la pubblica amministrazione e in modo particolare gli enti territoriali leggono, registrano e rappresentano i propri conti.

Una “sperimentazione” di massa

La fase pilota coinvolgerà circa il 90% del perimetro pubblico. L’obiettivo finale è ambizioso: arrivare a una piena comparabilità dei bilanci, requisito indispensabile per la trasparenza, il monitoraggio delle risorse e la misurazione dell’indebitamento. Ma già la fase di test mette sotto pressione anche le amministrazioni più strutturate.

Durante la “sperimentazione”, gli enti dovranno riclassificare saldi e voci del piano dei conti attuale, basato sul criterio finanziario, verso le nuove strutture del piano multidimensionale. Quest’ultimo è stato disegnato per accogliere diverse dimensioni informative – funzionali, organizzative, economiche, patrimoniali, geografiche e statistiche – in un quadro integrato. Il processo richiede l’applicazione delle regole Itas e il rispetto delle disposizioni della determina della Ragioneria generale dello stato (Rgs) n. 129/2025, che semplificando, prescrive l’uso dei modelli di raccordo 2/a (per regioni, province autonome e città metropolitane e gli enti locali ad esempio i comuni) e 2/b (per gli altri enti locali e gli enti strumentali in contabilità finanziaria), nonché dei modelli previsti per la trasmissione telematica degli schemi di bilancio al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef).

Il problema del doppio binario

Il cuore della difficoltà sta nell’adozione simultanea a regime del cosiddetto “doppio binario”: da un lato la contabilità finanziaria tradizionale, dall’altro la nuova contabilità economico-patrimoniale (CE/SP secondo Itas). Per molti enti, in prospettiva, significa sostenere un doppio adempimento, con un aggravio organizzativo notevole.

Per orientare il processo, il decreto del Mef del 6 agosto 2025 ha introdotto la distinzione tra due segmenti principali:

Segmento A, che – secondo il quadro concettuale e le disposizioni Itas – include le voci essenziali della contabilità economico-patrimoniale;

Segmento B, che comprende voci aggiuntive, necessarie per specifiche esigenze di finanza pubblica e per alimentare il sistema europeo dei conti (Sec 2010).

Sarà necessario quindi adottare un piano dei conti multidimensionale sufficientemente analitico da intercettare tutte le necessità informative dell’ente; raccordare in maniera matriciale il piano finanziario con le nuove dimensioni aggiuntive; adeguare sistemi informatici verticalizzati su singoli processi; garantire un corretto collegamento con i centri di costo.

Da queste operazioni discende la necessità delle cosiddette rettifiche e integrazioni, indispensabili per gestire componenti non ricorrenti e per “traslare” residui e partite finanziarie all’interno delle logiche economico-patrimoniali. Un compito che richiede grande attenzione, perché eventuali errori o scelte inadeguate nella fase iniziale rischiano di riverberarsi negli anni successivi sotto forma di continue rettifiche, riclassificazioni e ricostruzioni di dati. Il risultato sarebbe un serio pregiudizio ai principi di trasparenza, comparabilità e misurabilità della gestione finanziaria.

Una tempistica serrata

Pur di raggiungere i milestone del Pnrr la timeline di questa riforma è assai più stretta di quella sperimentata in occasione dell’introduzione della contabilità armonizzata: gli enti si trovano a dover affrontare in tempi rapidi un salto organizzativo di ampiezza ancora maggiore. A questo si aggiunge un impianto formativo che rischia di rivelarsi insufficiente, specie laddove non sia tarato su target specifici o su profili professionali differenziati.

Il nodo patrimoniale e l’Itas 4 e dei beni culturali

Un’altra partita delicata riguarda il processo di valorizzazione patrimoniale. L’Itas 4, dedicato alle immobilizzazioni materiali, approvato dal comitato direttivo della struttura di governance nel giugno 2023 e modificato nel marzo 2025, definisce i criteri per la “first time adoption”. È un passaggio centrale: decenni di esperienza con le amministrazioni pubbliche hanno dimostrato quanto sia stato difficile e impreciso, in passato, procedere all’inventariazione, classificazione e valorizzazione dei beni, strumentali e non.

Con la riforma accrual, la dimensione patrimoniale diventa il vero perno del bilancio, ancor più di quella economica. Per determinare correttamente il patrimonio di partenza, l’applicazione dell’Itas 4 comporta aggiustamenti e rettifiche di dati, raccolta di informazioni integrative, perizie, valutazioni e, inevitabilmente, l’aggiornamento degli applicativi informatici che gestiscono patrimoni mobiliari e immobiliari.

In un mosaico di beni patrimoniali eterogenei – immobili e mobili, strumentali e non, disponibili e indisponibili, operativi e non, singolarmente individuati o facenti parte di “universalità di beni” – il terreno più insidioso è quello dei beni storico-artistici e culturali, come meglio definiti dal Dlgs 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Qui si passa dal concetto di semplice “heritage item” a quello, più complesso, di “heritage asset” ma spesso all’amministrazione manca il riferimento al costo storico (come nel caso di donazioni o trasferimenti da altre Pa) o l’informazione è andata perduta: occorre allora ricorrere ad altre basi di valutazione, come il valore di mercato (peraltro di difficile comparabilità e non sempre reperibile), il costo di sostituzione (non applicabile a beni storici o artistici considerabili come unici nel loro genere) o il valore d’uso.

La distinzione dipende anche dalla diversa destinazione funzionale: beni di sola valenza culturale richiedono criteri diversi da quelli utilizzati per beni ad uso strumentale, come un palazzo storico adibito a sede municipale. Va inoltre considerato il rischio di svalutazione, dovuto a degrado, eventi dannosi o calamitosi. La Ragioneria generale dello stato, con la nota n. 155 SeSD 2025 del servizio studi dipartimentale, ha ribadito l’obbligo di iscrivere a bilancio i beni heritage in modo corretto, istituendo nel patrimonio netto una riserva non disponibile pari al loro valore, salvo eccezioni motivate da riportare in apposita informativa integrativa.

Opere pubbliche e operazioni condizionate

Un altro capitolo riguarda i lavori in corso per opere pubbliche: la loro valutazione patrimoniale è complessa per natura, poiché richiede criteri di capitalizzazione, contabilizzazione degli stati di avanzamento e raccordo con i cronoprogrammi. La questione è particolarmente rilevante per i progetti legati al Pnrr, ma non si limita a essi.

Non meno insidioso è il tema delle operazioni condizionate, introdotto dagli Itas. Qui il riconoscimento di contributi, fondi o donazioni dipende dal verificarsi di specifiche condizioni, come il completamento di un’opera o l’avverarsi di un evento non sotto il controllo dell’ente. In questi casi, il riconoscimento contabile va rinviato al momento in cui la condizione si realizza.

Il rischio impairment

Un ulteriore fronte critico è l’applicazione dell’impairment test sui beni patrimoniali operativi, cioè quelli destinati a produrre entrate future per l’amministrazione. Occorre verificare che i flussi di cassa prospettici siano almeno pari al piano di ammortamento: errori in questa valutazione iniziale potrebbero portare a perdite patrimoniali significative nei bilanci futuri.

Interoperabilità e anagrafiche uniche

In ultima analisi, la sfida non è solo tecnica ma anche organizzativa. Il successo della transizione all’accrual dipenderà dalla capacità del singolo ente di garantire interoperabilità e tracciabilità dei dati. Più che mai serve partire da anagrafiche raccordate, complete, unitarie e codificate a più livelli, applicabili non solo ai beni patrimoniali ma anche ai fornitori, ai contratti e agli altri elementi a maggiore complessità gestionale.

Con queste premesse la corsa sul doppio binario, oggi tutta in salita, potrà diventare un percorso più sostenibile.

(*) Presidente Ancrel Südtirol Trentino

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L’evento si svolgerà sia in presenza presso il Centro Congressi della Stazione Marittima di Napoli che su piattaforma Goto L’evento sarà introdotto da Marco Castellani e moderato da Gianni Trovati

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Salvatore Bilardo - Dirigente Generale della RGS Ispettore Generale Capo I.Ge.P.A.

Massimo Gagliardi – Presidente Sezione di Controllo Corte dei Conti Campania

Luciano Fazzi – Vice Presidente ANCREL Nazionale

Simona Magliacano Responsabile CDP Relazioni Business PA Sud Italia

Andrea Ferri – Responsabile Finanza Locale ANCI/IFEL

Mariano D’Amore – Presidente Standard Setter Board, Prof. Univ. Parthenope Napoli

Simone Simeone – Presidente ARDEL

Antonio Meola – Segretario Generale Città Metropolitana di Napoli

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