Il CommentoPersonale

Pa, la riforma chiave per spingere il recovery

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di Dino Pesole

Nei contatti in corso tra la Commissione europea e il ministero dell'Economia, in vista della predisposizione del Piano di ripresa e resilienza (atteso a Bruxelles entro fine aprile) si fa non di rado ricorso a un termine inglese sintetico ed esplicativo: “boost”, vale a dire “spinta”, “impulso”. Il riferimento è a quella che viene considerata come la “madre di tutte le riforme”, in grado di spingere, appunto, l'intero Recovery Plan verso gli obiettivi indicati dalle linee guida europee e dalle più recenti raccomandazioni inviate al nostro paese: la riforma della pubblica amministrazione.

Da qui la linea che va emergendo di accordare la priorità al percorso di riforma affidato al ministro Renato Brunetta, sotto la supervisione diretta del presidente del Consiglio, Mario Draghi e l'interazione con Vittorio Colao, titolare dell'Innovazione tecnologica e la transizione digitale. Lo ammette il neo segretario del Pd, Enrico Letta quando osserva che “uno dei ruoli più importanti” nella definizione del Piano di riforme lo avrà proprio Brunetta. A Bruxelles l'attesa è che la riforma delle riforme prenda corpo nei prossimi mesi. Con un duplice obiettivo: replicare, se pur nelle mutate, attuali condizioni rispetto ad allora, la “spinta” che la Commissione europea assegnò alla riforma del mercato del lavoro varata nel 2016 dal governo Renzi. Fu soprattutto grazie all'effetto (anche in termini di immagine) attribuito a quella riforma che Bruxelles aprì la strada a una generosa flessibilità di bilancio pari ad oltre 30 miliardi nel triennio 2016-2018, concessa grazie al convergere di diverse “clausole” (eventi eccezionali, catastrofi naturali, migranti, sicurezza).

Ora il focus è ribaltato. Non si tratta di ottenere “sconti” o deroghe (il Patto di stabilità è sospeso e lo sarà almeno per tutto il 2022), ma di guadagnarsi sul campo l'accesso agli oltre 191 miliardi del Next Generation EU. L'altro obiettivo è più politico ed ha che fare con il ruolo che Draghi può giocare in sede europea nel sostanziale “vuoto di leadership” causato dall'indebolimento della posizione di Angela Merkel nell'approssimarsi della tornata elettorale del prossimo settembre quando a Berlino si insedierà un nuovo cancelliere, e nel rafforzamento dell'asse con Parigi (che alle elezioni andrà nel 2022). Presentarsi nei consessi europei (come nel Consiglio europeo che ha preso avvio ieri) per far valere con forza il cambio di passo nella campagna vaccinale anche rispetto alle inadempienze di AstraZeneca, potendo esibire come ulteriore biglietto da visita un Recovery Plan che parta da una riforma attesa da anni, potrebbe trasformarsi in un atout non da poco per rilanciare il processo di integrazione anche in vista degli sviluppi concreti della Conferenza sul futuro dell'Europa. Vi è infine un ulteriore elemento che giustifica la priorità accordata alla riforma della PA (accanto alla giustizia civile e alla concorrenza). Stando alle stime che verranno inserite tra breve nel Def e nel Recovery Plan, l'effetto-leva sul Pil del complessivo piano di riforme e investimenti da realizzare da qui al 2026 potrà attestarsi in una forchetta tra il 3,5 e il 4%. Ma solo a patto che si riesca a realizzare la “riforma delle riforme”.