Strategie per il dopo Covid-19, la verità sulla semplificazione
Se c'è un tema non divisivo, nell'agenda politica dedicata alla fase della ripresa economica, è la semplificazione amministrativa. Non c'è osservatore o politico che non indichi, in cima all'elenco delle iniziative da assumere, la necessità di procedere a un'incisiva "sburocratizzazione". Ma pochi si interrogano sulle ragioni del (sostanziale) fallimento, o, comunque, della insoddisfacente efficacia, delle politiche di semplificazione amministrativa che si sono succedute dalla fine del secolo scorso ad oggi.
Se non si comprendono i motivi del tradimento degli obiettivi di semplificazione (che, pure, erano fortemente voluti), si rischia di fallire nuovamente.
È necessario, allora, un discorso di verità.
I fattori della complicazione amministrativa sono diversi.
Innanzitutto, il sistema di multilevel governance ha determinato una stratificazione legislativa che vede più fonti di produzione normativa sovrapporsi e intrecciarsi nella creazione di un complesso reticolo di regole, rimandi, connessioni che, a sua volta, genera un’inestricabile selva regolatoria che soffoca, o rallenta, o complica, ogni iniziativa economica.
Non solo, ma si è ormai consolidata un’attitudine distorta, nei centri tecnici, ma anche politici, di elaborazione normativa, che pretende di dover contemplare e, quindi, regolare ogni profilo delle attività economiche, sulla base dell’erroneo e velleitario convincimento che la legge, da sola, eviti storture o deviazioni.
Si è, quindi, ritenuto di estendere il controllo pubblico delle attività economiche oltre il presidio, fisiologico, dei valori costituzionali.
Si sono, inoltre, moltiplicate le fonti di regolazione tecnica e settoriale, che, aggiungendosi alla disciplina normativa generale, hanno aggravato la difficoltà della compliance (ormai divenuta una funzione primaria delle aziende).
Inoltre, le funzioni di controllo sono state spesso imputate ad amministrazioni diverse, con la conseguente difficoltà di coordinamento tra i segmenti procedurali ad esse riferibili.
Alcune di queste cause sono eliminabili; altre no.
Ma, prima di comprendere quali possono essere rimosse, occorre rettificare l’approccio alle politiche di semplificazione seguìto finora e adottarne uno che recida il nodo di Gordio nel quale sono ormai avvinte le regole dei controlli burocratici.
Finora si è seguito il paradigma dell’introduzione di modalità generali di snellimento dei rapporti tra le imprese e le amministrazioni: autocertificazione, silenzio assenso, SCIA.
Sennonchè questi modelli, che, pure, hanno prodotto alcuni effetti di alleggerimento degli oneri amministrativi, suppongono la persistenza delle funzioni pubbliche di controllo, non garantiscono la certezza dei rapporti giuridici e non si conciliano (spesso) con le discipline speciali, a cui le singole attività continuano a dover obbedire.
Ne consegue l’aumento dell’incertezza e della instabilità dei titoli autorizzativi così conseguiti.
Si deve, allora, seguire un metodo differente: quello della liberalizzazione delle attività economiche e, quindi, della riduzione del perimetro del controllo pubblico.
Si tratta di un lavoro complesso e certosino, che comporta la ricognizione e l’esame di tutte le procedure autorizzative.
Per ogni procedimento occorrerà verificare se esso è condizionato dall’ossequio che si deve al diritto europeo o ai valori costituzionali.
Se il regime pubblicistico è vincolato dal diritto dell’Unione o giustificato dalla necessità di presidiare valori costituzionali, gli adempimenti amministrativi non potranno essere eliminati, se non entro gli spazi (limitati) in cui i parametri di riferimento lo consentano.
Là dove, viceversa, questi vincoli non sono configurabili, si dovrà procedere, per ciascun procedimento, alla eliminazione, in tutto o in parte, dei controlli amministrativi, ritenuti eccessivi, che condizionano l’esercizio dell’attività economica di riferimento.
In particolare, secondo un apprezzamento dalla latitudine squisitamente politica, si potrà stabilire l’abolizione completa del regime pubblicistico, e, quindi, la liberalizzazione dell’attività, ovvero l’eliminazione di atti o adempimenti amministrativi endoprocedimentali superflui (pareri, nulla osta, certificazioni, assensi di altre amministrazioni), che, pure, possono costituire un onere sproporzionato.
All’esito di tale operazione si otterranno significativi vantaggi: la concentrazione delle risorse pubbliche verso le missioni essenziali dello Stato, la dismissione di funzioni non necessarie, la riduzione dei rischi di corruzione e la liberazione del naturale dinamismo dell’attività d’impresa.
Si raggiungerebbe, in altri termini, quella ottimale allocazione delle risorse (e dei pesi burocratici) che, secondo Pareto, produce l’effetto della migliore efficienza del sistema.
E si realizzerebbero, inoltre, gli effetti benefici (anche sociali) determinati dalla ridotta interferenza, sul mercato, dei costi pubblici di transazione, secondo le dinamiche teorizzate da Coase.
Appare superfluo, da ultimo, avvertire che tale iniziativa esige una forte determinazione politica e il definitivo abbandono di ogni resistenza ideologica (consapevole o inconscia) a ridurre il perimetro della sfera del controllo burocratico sulle attività d'impresa.
Inutile farsi false illusioni: non c’è niente di più complicato della semplificazione amministrativa.