I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di elezioni, diritto di accesso e personale

di Massimiliano Atelli

Comune - Elezioni - Comuni al di sotto dei 5000 abitanti - Voto di lista - Ha la precedenza su quello di preferenza 
Con la sentenza n. 4780 del 27 luglio 2020, la III Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata riguardo l’articolo 57, comma 2, del Dpr n. 570 del 1960, il quale prevede che siano inefficaci le preferenze espresse in uno spazio diverso da quello posto a fianco del contrassegno votato, che si riferiscano a candidati della lista votata.
In sostanza, è inefficace, ai sensi dell’articolo 57, comma 2, del Dpr n. 570 del 1960, la preferenza per il candidato della lista n. 1, (stante l’incertezza del doppio voto di preferenza espresso), se la preferenza è espressa anche nel riquadro della lista n. 2, ma ciò non rende nullo il voto chiaramente espresso per la lista n. 1 senza che detto errore manifesti incertezza nell’attribuzione del voto alla lista n. 1 o integri in alcun modo volontà, da parte dell’elettore di farsi riconoscere.
In concreto, se - come accaduto nel caso concreto - nella sezione n. 2 della scheda elettorale l’elettore ha tracciato la croce sul simbolo della lista n. 1 ed espresso le preferenze per i candidati della lista n. 2, deve trovare applicazione la pacifica, consolidata, giurisprudenza del giudice amministrativo di appello (si veda in particolare, Cons. St., sez. V, 13 aprile 2016, n. 1477; Cons. St., sez. V, 19 maggio 2016, n. 2087), secondo cui nei Comuni fino a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 57, comma 7, del Dpr n. 570 del 1960 espressivo del principio del favor voti, il voto di lista rimane salvo, mentre è inefficace soltanto la preferenza espressa per il candidato di altra lista.
In ragione di ciò, la III Sezione ha preso le distanze, perché contrastante con le chiare previsioni della legge, dall’assunto del primo giudice, secondo cui nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti l’elettore attribuirebbe maggiore importanza al voto di preferenza, in quanto diretto al candidato con una spiccata connotazione personalistica, con la conseguenza che sarebbe interamente nulla la scheda nella quale l’elettore, dopo avere contrassegnato la lista n. 1, ha espresso la preferenza per i candidati della lista n. 2. Al contrario, hanno osservato i giudici di Palazzo Spada, proprio nei Comuni più piccoli, dove è vietato il voto disgiunto (si veda Consiglio di Stato, Sezione V, 8 maggio 2020, n. 2911), rileva il voto di lista, manifestando esso la consapevolezza, da parte dell’elettore, di volere preferire una certa compagine politica, rispetto alla quale le preferenze assegnate ai singoli perdono di rilievo.
È del resto indirizzo consolidato (ex multis, sentenza n. 4474 del 9 settembre 2013 e la sentenza n. 1477 del 13 aprile 2016) quello per cui nei Comuni fino a 15.000 abitanti l’articolo 71, comma 5, del Dlgs n. 267 del 2000, che consente a ciascun elettore di votare per un candidato alla carica di Sindaco segnando il relativo contrassegno, ha introdotto un nuovo sistema elettorale maggioritario che, più che in passato, è finalizzato alla attribuzione di stabilità di governo all’ente locale e induce l’elettore a ponderare la scelta della forza politica cui affidare l’amministrazione dell’ente stesso.
Pertanto, in detti Comuni, è da ritenere sempre valido il voto con cui l’elettore indichi senza dubbio il candidato Sindaco prescelto ed il di lui contrassegno, perché ciò inequivocabilmente lascia individuare la forza politica cui esso si riferisce, anche nel caso in cui l’elettore, dopo aver votato per il candidato Sindaco e per la lista a lui collegata, esprima pure una preferenza per un candidato consigliere appartenente ad una lista non collegata, mentre il voto a quest’ultimo è nullo, per l’evidente ragione di non poter legittimamente considerare sullo stesso piano giuridico i due tipi di voto (Cons. St., sez. V, 9 febbraio 1996, n. 158): il voto accordato alla lista ha maggiore e determinante spessore politico, diversamente da quanto ha assunto il primo giudice, nella formazione delle maggioranze consiliari (Cons. St., sez. V, 26 settembre 2006, n. 5643).
Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 27 luglio 2020, n. 4780

Diritto di accesso - Ad atti concernenti l'amministrazione del patrimonio immobiliare dell'ente di previdenza dei giornalisti - Legittimazione - Spetta anche al semplice iscritto all'albo 
Con la sentenza n. 4771 del 27 luglio 2020, la III Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata riguardo alla richiesta di un iscritto all'albo dei giornalisti (e, in quanto tale, al relativo Istituto di previdenza) di accedere agli atti, documenti e notizie riguardanti l’amministrazione immobiliare, atteso che – come specificato nell’istanza – «le unità immobiliari residue» risultanti dalla prima tranche di vendita, inserite in un apposito bando, «saranno offerte in vendita in via riservata a giornalisti e dipendenti per un periodo di 30 giorni e alle stesse condizioni (prezzo pieno per gli immobili liberi, sconto del 25% per quelli occupati», come precisato dallo stesso Istituto.
In buona sostanza, l'autore della richiesta di accesso ha manifestato uno specifico interesse a conoscere l’operazione rappresentando di voler sapere se, all’esito di una prima tranche di vendita degli immobili costituenti il patrimonio immobiliare dell’Istituto, sarebbero stati offerti in vendita ai giornalisti immobili alle stesse condizioni previste dal futuro bando.
Ad avviso della III Sezione si tratta di un interesse diretto, concreto e attuale che affonda le sue radici anche nello Statuto dell’Istituto, laddove, nell’art. 3, comma 2, lett. e), prevede tra le sue attività accessorie, rientranti tra le sue finalità istituzionali, «gli interventi volti a favorire l’accesso alla casa di abitazione, ivi compresa la concessione di mutui ipotecari».
Ne consegue, secondo i Giudici di Palazzo Spada, che l’attività di conferimento al fondo immobiliare chiuso sicuramente assume un particolare rilievo, in termini di concretezza e attualità dell’interesse ad accedere, con riferimento all’aspetto degli interventi volti a favorire l’accesso alla casa di abitazione dei giornalisti iscritti all’Istituto (come del resto era stato rappresentato, come si è visto, nell’istanza di accesso).
Tuttavia, ha aggiunto la III Sezione, se anche si volesse prescindere da questo specifico profilo di interesse espressamente rappresentato nell’istanza di accesso, egualmente dovrebbe addivenirsi alla conclusione che l'interesse all'accesso sussista anche nella qualità di semplice iscritto all’istituto previdenziale poiché l’attività di gestione del patrimonio immobiliare, come il Consiglio di Stato ha già chiarito in analoghe vicende, non si può ritenere meramente privatistica, ma ha un sicuro rilievo di interesse generale ed è sottoposta al controllo della Corte dei conti.
Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 27 luglio 2020, n. 4771

Docenti - Servizio pre-ruolo prestato nelle scuole paritarie ai fini della graduatoria di mobilità per l'accesso ai ruoli provinciali - Obbligo di valutazione - Non sussiste 
Con la sentenza 27 luglio 2020, n. 4770, la VI Sezione ha esaminato il tema della valutazione per intero del servizio prestato nelle scuole paritarie ai fini della graduatoria di mobilità valida per l’anno scolastico 2018-2019, per l’accesso ai ruoli provinciali, relativi ai profili professionali dell’area A e B del personale ATA. 
Richiamando un recente precedente (sentenza n. 2717 del 28 aprile 2020), la Sezione ha affermato nessuna norma o principio consente di riconoscere il servizio pre-ruolo prestato dai docenti presso istituti paritari ai fini della mobilità.
L'apposita normativa dettata dalla contrattazione collettiva di settore attribuisce rilevo al solo servizio pre-ruolo utile agli effetti della carriera ex art. 485 del Dlgs n. 297/1994, e quindi unicamente a quello svolto in scuole statali con esclusione di quello reso in istituti paritari.
La legge n. 62/2000 ha espressamente stabilito che «Il sistema nazionale di istruzione (...) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali»; che le scuole paritarie svolgono «un servizio pubblico»; che il «personale docente (dev'essere) fornito di titolo del titolo di abilitazione»; che i «contratti individuali di lavoro per (il) personale (...) insegnante (devono rispettare) i contratti collettivi nazionali di settore»; che gli istituti paritari sono soggetti a penetranti controlli e rigide prescrizioni (art. 1 commi 1, 3, 4, 5 e 6).
Il sistema così delineato è finalizzato a garantire che le scuole paritarie assicurino i medesimi standard qualitativi di quelle statali. Ma esso però non determina l'equiparazione tra il rapporto di lavoro che intercorre con la scuole paritaria e quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato. Lo status dei docenti pubblici, infatti, è regolato dalle norme primarie e dai contratti collettivi di settore, che escludono la valutabilità del servizio svolto in scuole paritarie ai fini della mobilità.
D'altra parte, le norme che prevedono il riconoscimento di servizi pre-ruolo a fini giuridici ed economici devono ritenersi, in quanto attributive di benefici particolari, norme eccezionali e per ciò stesso non applicabili estensivamente o analogicamente (Cons. Stato, Sez. IV, 22/6/2004, n. 4382; Sez. VI, 9/52002, n. 2517; Cass. Civ. 30/1/2015, n. 1749).
Ne consegue che anche l'articolo 2, comma 2, del Dl 3 luglio 2001, n. 255, che consente la valutazione dei servizi d'insegnamento prestati nelle scuole paritarie ai fini dell'inserimento nelle graduatorie a esaurimento e dell'aggiornamento del relativo punteggio, deve ritenersi di stretta interpretazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2008, n. 6).
Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 27 luglio 2020, n. 4770  

Corso di formazione manageriale per l'esercizio delle funzioni di direzione sanitaria e di direzione di strutture complesse, ai sensi del Dlgs n. 502/1992 e s.m.i., del Dpr 484/1997 - Necessità di 10 anni  di servizio prestato in qualità̀ di dirigente del ruolo sanitario - Non sussiste  
Con la sentenza n. 33 del 3 agosto 2020 il Tar Valle d'Aosta ha accolto il ricorso di un'esclusa dall'ammissione al corso di formazione manageriale per l'esercizio delle funzioni di direzione sanitaria e di direzione di strutture complesse, ai sensi del Dlgs 502/1992 e s.m.i., del Dpr 484/1997 e del documento approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome in data 10 luglio 2003, la quale contestava il requisito di cui alla norma citata sia interpretabile nel senso di riferire l'‘anzianità̀ di servizio di almeno 10 anni’ all'anzianità̀ di servizio prestato in qualità̀ di dirigente del ruolo sanitario.  
Nell'accogliere il gravame, i Giudici amministrativi valdostani hanno precisato che da una lettura dell’art. 1, comma 5, Dlgs 484/1997, si evince, dal tenore della disposizione, che «i corsi di formazione manageriale (…) sono riservati ai medici con una anzianità di servizio di almeno tre anni nella direzione tecnico-sanitaria in enti e strutture sanitarie, pubbliche o private di media o grande dimensione ovvero ai medici con una anzianità di servizio di almeno dieci anni».
Tale previsione, applicandola attribuendo il senso che è quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore, comporta che l’anzianità in questione è riferita a quella generica del Ssn, e, quando è questa la disposizione trasfusa nel bando del corso di formazione, non può che interpretarsi in tal senso, proprio come nel campo medico, non rilevando (e non essendo ammessa) alcuna interpretazione discriminatoria.
Tar Valle d'Aosta, sentenza 3 agosto 2020, n. 33