Il CommentoUrbanistica

Il vaglio costituzionale della disapplicazione degli standard edilizi è l'occasione per chiarire poteri e limiti di Regioni e Comuni

Si rischia una frenata degli investimenti: nel caso di eventuale caducazione dell'articolo 2<i>-bis</i> del 380/2001 la Corte dia indicazioni su quanto deliberato finora dagli enti locali

di Fabrizio Luches

Dirompente pronuncia n.13 del 7 febbraio 2020 (nei confronti del medesimo art. 103, comma 1-bis, l.r. 12/2005). Solo le norme in tema di distanze civilistiche sono state ritenute dalla Corte, in via di principio, inderogabili da parte della legislazione regionale, in quanto afferenti alla materia dell'ordinamento civile (ex articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost.;) riconoscendo il potere delle Regioni, titolari della competenza concorrente nella materia «governo del territorio», di dettare discipline derogatorie in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (cfr. fra le molte, sentenze n. 50 e n. 41 del 2017, nn. 231, 185 e 178 del 2016).

L'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio e a una razionale pianificazione urbanistica circoscrive rigorosamente la competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici e ne vincola anche le modalità di esercizio (cfr. da ultimo, sentenza n. 41 del 2017, punto 4.1. del Considerato in diritto), mentre lo stesso non si può dire per le altre norme contenute nel d.m. 1444/68, le quali prima facie attengono unicamente alla materia «governo del territorio», oggetto di competenza concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione. Questo impone di individuare le norme di principio della legislazione statale in subiecta materia, le quali segnano il limite della competenza legislativa regionale.

La querelle non risulta marginale, non solo in forza degli ulteriori principi costituzionali, quali ad esempio quello di sussidiarietà nell'allocazione delle funzioni amministrative che -seppur temperato da differenziazione ed adeguatezza -, deve trovare applicazione anche nella materia del governo del territorio, con riconoscimento in capo ai Comuni della facoltà di adottare l'atto pianificatorio maggiormente dettagliato ed idoneo a conformare i beni giuridici sullo stesso situati (si veda in tali termini anche la sentenza della Corte Costituzionale, 16 luglio 2019 n. 179, che ha dichiarato l'illegittimità dell'ultimo periodo dell'art. 5, comma 4, della l.r. Lombardia 28 novembre 2014, n. 31, nella parte in cui non consentiva ai Comuni di apportare varianti che riducessero le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente), ma anche e soprattutto per chiarire definitivamente non solo la potestà legislativa regionale in materia di standard, ma soprattutto la possibilità per i Comuni (in conformità a detta disciplina regionale ove presente), di determinare autonomamente il fabbisogno della dotazione di standard senza tener conto dei parametri minimi statali (ed a prescindere dalla fissazione di parametri o criteri generali a livello regionale nella disciplina regionale di settore).

Infine, si rileva l'opportunità che l'eventuale caducazione della disciplina in esame da parte della Consulta, contenga anche i principi esegetici nei confronti delle eterogenee norme locali (siano esse regionali o comunali) emanate in attuazione dell'articolo 2-bis del Dpr 380/2001, al fine di evitare enormi problematiche pratiche a danno degli interventi di trasformazione in corso ovvero un forte freno agli investimenti negli interventi di recupero urbanistico-edilizio, punta di diamante della ripresa economica post pandemia.