Appalti

In house, il contratto di servizio regola rapporti tra soggetti con un unico centro decisionale

Il Consiglio di Stato ha fatto chiarezza sulle differenze rispetto ai contratti di appalto

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di Alberto Barbiero

Il contratto di servizio, che regola i rapporti tra un'amministrazione e un organismo da essa controllato nell'ambito del modulo in house, è uno strumento pattizio con finalità e caratteristiche diverse dal contratto di appalto. Il Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 6062/2021 ha chiarito gli elementi distintivi dei contratti di servizio, evidenziandone la differente funzionalizzazione rispetto ai contratti di appalto.

I giudici amministrativi hanno preso in esame un caso nel quale veniva a essere contestato all'amministrazione affidante il ricorso all'affidamento in house come soluzione elusiva del divieto di intermediazione di manodopera.

La distinzione tra appalto e interposizione di manodopera (con il connesso divieto di ricorrere alla seconda in difetto dei relativi presupposti legittimanti) trova la sua base normativa nel disposto dell'articolo 29, comma 1, del Dlgs 276/2003 in base al quale il contratto di appalto, stipulato e regolamentato secondo l'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore.

Il Consiglio di Stato rileva come tale distinzione (e il connesso divieto) trova il suo contesto applicativo tipico ed esclusivo nei casi in cui il committente e l'affidatario (di una prestazione di facere) si pongono in una relazione di alterità soggettiva, nell'ambito della quale, tra le rispettive strutture organizzative, non sono ravvisabili interferenze, conservando esse la propria autonomia funzionale.

Per evitare fenomeni di fittizia imputazione del rapporto di lavoro, suscettibili di incidere sulla tutela dei lavoratori e di generare dubbi sulla univoca individuazione della figura datoriale, la legislazione ha definito una serie di regole di salvaguardia.

Tali presupposti applicativi non ricorrono però nel caso in cui lo stesso legislatore ammetta la legittimità di forme di affidamento diretto di un servizio tra soggetti appartenenti a un centro di imputazione di interessi sostanzialmente unitario (sebbene formalmente articolato in un a duplice soggettività giuridica), in quanto accomunati dal perseguimento di un unico obiettivo attraverso la predisposizione di una struttura organizzativa strettamente compenetrata e unitariamente diretta: quale appunto si riscontra nell'ipotesi della cosiddetta società in house.

I giudici amministrativi precisano, peraltro, che la peculiarità della relazione organizzativa esistente tra l'amministrazione affidante e la società in house è posta in risalto nel provvedimento di affidamento, nel quale devono essere giustificati i benefici attesi, in termini di qualità del servizio, dalla soluzione organizzativa adottata.

In tale quadro possono sicuramente rientrare anche gli elementi specifici caratterizzanti il rapporto tra le due organizzazioni, quali l'immediatezza e l'immanenza della relazione tra committenza ed esecutore.

Il Consiglio di Stato chiarisce quindi che la stessa relazione contrattuale tra amministrazione e organismo affidatario in house trova la sua consacrazione in una fattispecie contrattuale particolare, ossia il contratto di servizio, che non è assimilabile al contratto tipico di appalto e risulta invece concepito al fine di rispondere alle esigenze operative proprie di un servizio gestito in forma internalizzata.

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