Concorsi pubblici, illegittimo il voto minimo di laurea per l'accesso
È' illegittimo il bando di un concorso che richiede quale requisito di ammissione il conseguimento di un diploma di laurea ottenuto con una votazione non inferiore a 105/110. Lo afferma il Tar Lazio con due sentenze gemelle nn. 2111 e 2112/2019.
I fatti
I ricorrenti hanno impugnato il bando di concorso indetto dall'Enac, l'Ente nazionale aviazione vivile, nella parte in cui prevede quale requisito di ammissione il conseguimento di un diploma di laurea conseguito con una votazione non inferiore a 105/110 o equivalente. Ritengono che il voto minimo sarebbe contrario all'articolo 2, comma 6, del Dpr 487/1994 che stabilisce quale unico titolo richiesto il diploma di laurea; condizione che non troverebbe giustificazione nella particolarità del profilo professionale a cui si riferisce il concorso e costituirebbe un irragionevole e sproporzionato sbarramento all'accesso, data anche la mancata esternazione delle ragioni sottese alla concreta fissazione del voto minimo.
Il Tar Lazio ha prima emanato un'ordinanza cautelare, poi ha dichiarato fondati i ricorsi, con l'annullamento del bando di concorso nei soli limiti dell'interesse dedotto in giudizio e la conseguente ammissione in via definitiva dei ricorrenti alla procedura.
Il principio
Il ragionamento proposto dai giudici amministrativi parte proprio dal Dpr 487/1994, il cui articolo 2, comma 6, dispone che «per l'accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea»; e al precedente comma 2 che «per l'ammissione a particolari profili professionali di qualifica o categoria gli ordinamenti delle singole amministrazioni possono prescrivere ulteriori requisiti».
Il Tar ritiene che il comma 6 non può che essere interpretato se non nel senso che il possesso del titolo della laurea sia di per sé requisito sufficiente ai fini della partecipazione al concorso, indipendentemente dal voto finale riportato. La previsione di un voto minimo finisce dunque per interferire con questo principio di ordine generale.
Nemmeno è consentito appellarsi al comma 2, quindi alla "particolarità" del profilo professionale messo a concorso, primo perché manca nel bando e negli atti presupposti ogni riferimento puntuale alla specificità delle funzioni che i vincitori della procedura saranno chiamati a svolgere; secondo perché tale particolarità è stata affermata dall'Enac in ragione della mera specificità delle funzioni svolte dall'ente medesimo, riconducendone la peculiarità genericamente alla «importanza e la delicatezza del ruolo che i professionisti esplicano attraverso la prestazione degli apporti specialistici secondo la rispettiva professione da essi garantita all'ente a garanzia della correttezza del quotidiano operare».
Le deroghe
Una circostanza, quella della prestazione di apporti specialistici a garanzia della correttezza del quotidiano operare dell'ente, che non può giustificare la previsione di un ulteriore requisito di accesso alla procedura selettiva, integrando essa una deroga al principio generale vigente in materia che non può dunque fondarsi sulla semplice volontà dell'ente di limitare preventivamente il numero dei partecipanti al concorso.
Le due sentenze si chiudono con una bacchettata all'Enac, responsabile secondo i giudici capitolini di aver voluto introdurre un illegittimo indice selettivo, correlato a un obiettivo di preparazione culturale degli aspiranti concorrenti, con il fine precipuo di escludere dalla partecipazione al concorso i soggetti che abbiano ottenuto risultati meno brillanti nel corso degli studi universitari, per di più adottando un parametro (il voto di laurea) che, a ben vedere, potrebbe non rappresentare un indice attendibile di preparazione del candidato, dipendendo esso da un rilevante numero di variabili (tra gli altri, il tipo di laurea conseguito e presso quale Università).
La sentenza del Tar Lazio n. 2111/2019
La sentenza del Tar Lazio n. 2112/2019