Concorsi, vietato scremare i candidati penalizzando chi ha il titolo di studio più «vecchio»
Questa modalità selettiva creerebbe una «discriminazione indiretta» nei confronti dei candidati più grandi
È illegittimo il bando di concorso in cui è prevista l'attribuzione di un punteggio «a scalare» a seconda della distanza tra la data di conseguimento del diploma di studi per l'ammissione e quella di presentazione della domanda di selezione; in altre parole attribuendo un punteggio via via minore quanto più «vecchio» sia il titolo di studio in questione. Inoltre non è possibile giustificare la clausola discriminatoria con l'ipotetico «affievolimento» della conoscenza delle materie utili dovuto al passare degli anni.
Il Tar Lazio, con la sentenza 1727/2021, ha evidenziato che questa clausola configura una visibile discriminazione legata all'età dei candidati, del tutto sganciata da criteri meritocratici, questi sì necessari. Il tutto poi si fa persino paradossale se si considera che la suddetta discriminazione è operata proprio nei confronti di coloro che dopo il diploma magari abbiano già lavorato, maturato conseguenti esperienze, o persino conseguito titoli superiori a quello d'accesso.
L'effetto «distorsivo» sulle selezioni
I sistemi di selezione devono tradursi sempre in meccanismi di valutazione improntati a criteri «logici» e «ragionevoli». Strumenti insuscettibili di condurre a risultati discriminatori o persino insensati. Fondare la «scrematura», come nel caso esaminato dal Tar capitolino, sull'entità del periodo temporale intercorrente tra il titolo di accesso (diploma di scuola superiore) e la domanda di concorso, sull'assunto per cui i candidati con titolo di studio più recente «avrebbero» conoscenze meno «indebolite» delle materie utili ai profili professionali ricercati, può produrre effetti «distorsivi» sulle stesse finalità della selezione.
L'applicazione di questo criterio ad esempio non permette di verificare il tempestivo conseguimento da parte dei candidati del titolo di studio nei tempi di legge, né, tantomeno l'eventuale continuazione del percorso di studi attraverso il conseguimento della laurea o di altri titoli o esperienze valide ai fini della conservazione e addirittura dell'arricchimento del bagaglio formativo (minimo) richiesto.
La «discriminazione indiretta» dei più vecchi
Per altro verso la modalità selettiva in questione integra (anche) una vera e propria «discriminazione indiretta» nei confronti dei candidati più vecchi in ragione dell'età anagrafica di alcuni di essi. E ciò è ulteriore elemento distorsivo, inappropriato, sproporzionato alla lecita finalità di voler assicurare la celerità delle procedure di selettive. A ben vedere in alcune ipotesi, del tutto limitate, operare «discriminazioni selettive» in base all'età è ragionevole, anzi legittimo, ha evidenziato il Tar romano. Come ad esempio il caso del divieto per le amministrazioni pubbliche di assegnare incarichi di studio e consulenza a persone già collocate in quiescenza.
Ma in queste casistiche le «disparità» sono comunque adeguate, idonee a uno «scopo razionale», giusto. E ciò in quanto volte a conciliare gli opposti interessi della promozione dell'occupazione giovanile, dell'equilibrio tra le generazioni nel mondo del lavoro, della salvaguardia della partecipazione dei lavoratori anziani alla vita economica, culturale e sociale del Paese, dello scambio di esperienze, della massima efficienza della Cosa pubblica. In tutti gli altri casi, come quello esaminato, l'elemento età deve invece restare del tutto «neutro» in quanto non fornisce un collegamento tangibile, concreto, comprovabile, con la preparazione e le capacità professionali dei candidati, ovvero con il «merito».