Appalti

Gare, la Corte Ue boccia l'esecuzione maggioritaria della capogruppo di un raggruppamento

La clausola dell'articolo 83 (comma 8, terzo periodo) contrario alla direttiva europea perché limita la concorrenza e la partecipazione delle Pmi

di Massimo Frontera

«La disposizione del codice appalti che impone l'obbligo di esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria al solo mandatario del raggruppamento, ad esclusione di tutte le altre imprese che vi partecipano, è in contrasto con le norme Ue sui contratti pubblici». Così la Corte di Giustizia Ue, Sezione IV, nella recente pronuncia C-642/20 del 28 aprile scorso che mette fuori legge un altro pezzo del Dlgs 50/2016. Nel caso specifico il giudice comunitario afferma che l'articolo 83, comma 8, terzo periodo, del codice è in contrasto con l'articolo 63, paragrafo 2 della direttiva 2014/24 in quanto introduce nella normativa dei contratti pubblici una misura contraria ai principi comunitari. «La Corte - spiega il Consiglio di Stato nel ricostruire l'iter della vicenda - non ha mancato di evidenziare come la disciplina italiana contravvenga alla finalità perseguita dalla normativa Ue di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese».

L'appalto siciliano all'origine della controversia
Il caso è stato sottoposto alla Corte Ue dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana nel novembre 2020, dopo che la precedente decisione del Tar Sicilia era stata appellata. Il caso ha origine da una gara di una stazione appaltante siciliana per l'affidamento di un servizio di raccolta rifiuti in vari comuni della provincia di Messina. All'esito della gara, il secondo classificato ha impugnato l'aggiudicazione al Tar Sicilia, il quale ha accolto il ricorso riconoscendo che, alla luce dell'articolo 83, comma 8, del codice appalti, l'impresa capogruppo del raggruppamento aggiudicatario «non soddisfaceva da sola le condizioni previste dal bando di gara di cui trattasi nel procedimento principale e non poteva avvalersi delle capacità delle altre imprese dell'associazione temporanea di imprese di cui era mandataria». Il secondo giudice, più prudentemente, ha rimesso la questione alla Corte Ue.

Il percorso argomentativo della Corte Ue
Il giudice comunitario premette che l'articolo 63 della direttiva consente, in certi casi, alla stazione appaltante di esigere che certi compiti vengano svolti da un partecipante al raggruppamento. Tuttavia, prosegue il giudice comunitario, imporre alla capogruppo di un Rti di eseguire le prestazioni «in misura maggioritaria» rispetto a tutti i membri del raggruppamento, equivale a fissare «una condizione più rigorosa di quella prevista dalla direttiva 2014/24, la quale si limita ad autorizzare l'amministrazione aggiudicatrice a prevedere, nel bando di gara, che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente da un partecipante al raggruppamento di operatori economici». Il giudice chiarisce che la norma dell'articolo 83, comma 8, terzo periodo, del codice appalti italiano non può essere ricompresa nelle condizioni di tipo economico, tecnico, finanziario o professionale che gli stati membri possono stabilire con le clausole standard: «quand'anche la capacità di svolgere compiti essenziali rientrasse nella nozione di "capacità tecnica", ai sensi degli articoli 19 e 58 della direttiva 2014/24, ciò che consentirebbe al legislatore nazionale di includerla nelle clausole standard previste dall'articolo 19, paragrafo 2, della stessa, una norma come quella contenuta nell'articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che obbliga il mandatario del raggruppamento di operatori economici ad eseguire direttamente la maggior parte dei compiti, va al di là di quanto consentito da tale direttiva». «Infatti - prosegue la sentenza - una norma del genere non si limita a precisare il modo in cui un raggruppamento di operatori economici deve garantire di possedere le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l'appalto, ai sensi dell'articolo 19, paragrafo 2, di detta direttiva, in combinato disposto con l'articolo 58, paragrafo 4, della stessa, ma riguarda l'esecuzione stessa dell'appalto e richiede in proposito che essa sia svolta in misura maggioritaria dal mandatario del raggruppamento».

Norma contraria alla concorrenza
Il punto centrale della norma italiana su cui si concentra il giudice Ue è il contrasto con i principi comunitari di garanzia di una libera concorrenza. «La volontà del legislatore dell'Unione - ricorda la Corte - consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche». Pertanto, «un requisito come quello enunciato all'articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che si estende alle "prestazioni in misura maggioritaria", contravviene a siffatto approccio, eccede i termini mirati impiegati all'articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell'Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese».

Conclusione
Al giudice comunitario non resta dunque che confermare il cartellino rosso nei confronti della norma italiana, confermando che «l'articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l'impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria».

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