Gare, l' importo difforme dai prezzari regionali non determina la responsabilità precontrattuale della Pa
Lo precisa il Consiglio di Stato che chiarisce anche come l'impresa aggiudicataria non possa lamentare l'impossibilità di eseguire l'opera per mancanza di redditività dell'appalto
L'adozione di prezzi dei beni, lavori o servizi oggetto di appalto non determinati secondo le regole imposte dall'art. 23 del Codice dei contratti pubblici non è, di per sé, fonte di responsabilità precontrattuale della Pa, e di conseguenza, anche nel caso in cui tale importo dovesse rivelarsi non remunerativo, deve ritenersi ingiustificato il rifiuto dell'aggiudicatario di stipulare il contratto e allo stesso non è dovuto il risarcimento del danno subito per aver preso parte alla procedura di gara, tanto più nel caso in cui abbia presentato un'offerta economica al ribasso. In tali circostanze, infatti, non si può ipotizzare un affidamento incolpevole del concorrente nella correttezza dell'operato della Pa.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5107/2021 depositata il 5 luglio, ha rilevato che la "semplice" quantificazione irregolare del prezzo a base d'asta costituisce soltanto uno dei presupposti dell'insorgere della responsabilità precontrattuale dellaPa e del conseguente diritto al risarcimento del concorrente, poiché a tal fine risulta indispensabile che l'operatore economico dimostri:
a) la buona fede soggettiva, intesa quale affidamento incolpevole sull'esistenza di un presupposto che avrebbe portato a maturare la scelta di compiere un'attività economicamente onerosa;
b) che la condotta dell'amministrazione, a prescindere dalla legittimità dei singoli atti, sia oggettivamente contraria a doveri di correttezza e lealtà;
c) che la stessa sia imputabile alla stazione appaltante in termini di dolo o di colpa;
d) che tale condotta abbia originato il cd danno – evento (lesione della situazione soggettiva della libertà di autodeterminazione negoziale) e il danno – conseguenza (l'esistenza di perdite economiche); e) che sussista un nesso eziologico/rapporto di causalità tra l'uno e l'altro (Cfr Adunanza plenaria, sentenza 4 maggio 2018, n. 5, Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2021, n. 3458; V, 22 ottobre 2019, n. 7161; Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2021, n. 368; Cons. giust. amm., sez. giuris., 23 novembre 2020, n. 1092; Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237).
Simili presupposti ricorrono, ad esempio, nell'ipotesi in cui la stazione appaltante metta a gara un progetto esecutivo di ristrutturazione di un'opera pubblica, rivelatosi, al momento dell'avvio del cantiere, assolutamente ineseguibile per il pregiudizio che ne sarebbe derivato alla stabilità dell'immobile. In tale circostanza, infatti, «l'operatore economico realmente si affida in maniera incolpevole sulla attività di progettazione che abbia preceduto la messa a bando dell'opera» ed è plausibile che possa avvedersi dell'impossibilità di realizzare l'opera per carenze progettuali solo in fase esecutiva; sicché deve ritenersi legittimo il rifiuto a stipulare il contratto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8731).
Del tutto differente il caso in cui l'ente appaltante abbia individuato negli atti di gara i prezzi unitari e, in base ad essi, il prezzo a base d'asta, senza seguire la regola dell'art. 23, comma 16, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che impone di far riferimento ai prezziari regionali aggiornati annualmente.In primo luogo tale condotta, per quanto irregolare, non può ritenersi, di per sé, scorretta o contraria a lealtà e buona fede, ed in certe circostanze può addirittura considerarsi ragionevole: è il caso, ad esempio, in cui prezziari regionali non siano aggiornati alla reale «situazione del mercato», e la stazione appaltante determini l'importo a base d'asta sulla base di accertamenti e riscontri (ad esempio le risultanze di un precedente appalto per lavori della stessa tipologia), che le consentano «di aver chiare le attese del mercato circa la remunerazione» delle attività oggetto dell'appalto.
Ciò posto la sentenza rileva che la deroga alla disciplina codicistica sulla quantificazione dell'importo a base d'asta, di per sé, non può considerarsi fonte di un danno risarcibile, qualora non se ne dimostri l'inidoneità a remunerare l'attività richiesta al concorrente. E per dimostrare la non remuneratività del prezzo stabilito dagli atti di gara non basta addurre il semplice scostamento dagli importi previsti dai prezziari regionali, in quanto l'incongruità del corrispettivo costituisce espressione di una valutazione complessa, da compiersi con riferimento a diversi fattori e parametri: la massiccia partecipazione alla gara e la proposizione di diverse offerte che abbiano superato la verifica di anomalia, ad esempio, costituiscono indice concreto, significativo ed attendibile della remuneratività dell'importo a base d'asta.
In ogni caso, anche qualora si accertasse che la violazione delle regole del Codice degli appalti abbia determinato l'adozione di prezzi non remunerativi, ciò non comporterebbe automaticamente il diritto al risarcimento dei danni all'operatore economico che abbia partecipato alla gara aggiudicandosela con un'offerta al ribasso. Ciò perché il principio di correttezza e serietà che incombe sui concorrenti alle gare pubbliche impone il dovere di formulare le offerte in maniera consapevole e meditata; esaminando se le condizioni imposte dall'amministrazione consentano la effettiva remunerazione dell'attività svolta prima di dichiarare il ribasso offerto.
Di conseguenza l'operatore economico che si è aggiudicato l'appalto proponendo un'offerta più basa rispetto all'importo (non remunerativo) indicato negli atti di gara, una volta divenuto aggiudicatario, non può lamentarsi di non essere in grado di eseguire l'opera perché il corrispettivo che egli stesso ha domandato non lo remunera a sufficienza dell'attività svolta.
Peraltro, nell'ipotesi che la stazione appaltante abbia indicato un prezzo a base d'asta non remunerativo dell'attività prestata, l'ordinamento offre, anche agli operatori economici che non abbiano presentato domanda di partecipazione, la possibilità di impugnare il bando di gara (cfr. Adunanza plenaria 26 aprile 2018, n. 4 , Cons. Stato, sez. III, 20 marzo 2020, n. 2004). In alternativa l'impresa, avvedutasi dell'impossibilità di formulare una proposta remunerativa, può scegliere liberamente di non partecipare alla procedura di gara per non esporsi ad un pregiudizio economico.In un simile contesto l'operatore economico che non impugna immediatamente il bando e gli atti di gara che individuano un prezzo a base d'asta non remunerativo dell'attività dell'appalto, ed anzi un ulteriore ribasso, non può certo ritenersi vittima incolpevole della condotta antigiuridica della Pa, poiché la rinuncia a tali possibilità denota una condotta consapevole o, in alternativa, gravemente negligente, che comporta una colpevole esposizione all'eventuale danno economico derivante dall'incongruità dell'importo dell'appalto.
Tali circostanze, pertanto, escludono la sussistenza di uno dei presupposti indispensabili per la responsabilità risarcitoria della pa: la buona fede soggettiva, intesa quale affidamento incolpevole sull'esistenza di un presupposto che avrebbe portato a maturare la scelta di compiere un'attività economicamente onerosa.