Personale

Incarichi esterni, l'autorizzazione deve essere sempre preventiva

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di Andrea Alberto Moramarco

Il dipendente pubblico non può svolgere un incarico retribuito senza la previa autorizzazione della rispettiva amministrazione di appartenenza. In caso contrario, il soggetto che conferisce l'incarico commette un illecito che non può essere sanato dal rilascio di una autorizzazione postuma, pronunciata «ora per allora» dall'ente pubblico datore di lavoro. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza n. 11811, depositata ieri, che fornisce la corretta interpretazione dell'articolo 53 del testo unico sul pubblico impiego (Dlgs 165/2001).

Il caso riguarda la condotta di un privato che aveva affidato un incarico di consulenza a un docente universitario a tempo indeterminato, senza la preventiva autorizzazione dell'Università di appartenenza del docente, la quale veniva rilasciata in seguito con la formula «ora per allora». Gli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza portavano però a scoprire l'illecito e l'agenzia delle Entrate a erogare una sanzione di più di 2mila euro per chi aveva richiesto la consulenza. Quest'ultimo, opponendosi in giudizio, riteneva che l'autorizzazione postuma rilasciata dall'Ateneo fosse sufficiente a scongiurare ogni sanzione. Dello stesso avviso si mostravano anche il giudice di pace prima e il Tribunale in appello poi, che annullavano la sanzione «ritenendo che il rilascio postumo del titolo autorizzatorio comportasse un assenso ab origine da parte dell'ente pubblico datore di lavoro».

L'agenzia delle Entrate si è rivolta poi in Cassazione continuando a sostenere che il comportamento illecito non poteva essere sanato a posteriori. Questa perseveranza ha premiato il Fisco le cui argomentazioni difensive hanno indotto la Cassazione a ribaltare il verdetto. I giudici di legittimità, infatti, ritengono errato il ragionamento seguito dai giudici di merito circa la ratio dell'autorizzazione, individuata nella esigenza di verificare la sussistenza di situazioni di conflitto tra interesse privato e quello dell'amministrazione; esigenza che ben potrebbe, a detta del Tribunale, essere verificata anche ex post.

La Suprema corte ha sottolineato, al contrario, come la normativa relativa all'espletamento di incarichi extraistituzionali dei dipendenti pubblici debba essere letta nel suo complesso. Invero, il comma 7 l'articolo 53 del testo unico sul pubblico impiego prevede espressamente che «i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza», rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione non solo della legittimità dell'incarico, ma anche della «sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell'ufficio. Lo scopo è, dunque, quello di garantire l'imparzialità, l'efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, nonché quello di evitare che il dipendente pubblico possa svolgere incarichi che lo distolgano dai propri doveri istituzionali e che gli procurino un compenso che, se stabile e duraturo, non giustificherebbe la permanenza all'interno dell'ente pubblico.

La sentenza della Corte di cassazione n. 11811/2020

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