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Liquidazione delle società degli enti locali: la responsabilità «potenziata» di soci e amministratori

di Marco Castellani e Antonio Formentini - Rubrica a cura di Ancrel

Tra i motivi per i quali molto spesso i tempi delle procedure di liquidazione delle società partecipate dagli enti locali si protraggono a lungo con aggravio di costi, vi è certamente quello del profilo della responsabilità di soci pubblici e amministratori/liquidatori delle società.

Prima di tutto va sottolineato come la consolidata giurisprudenza della Corte dei conti (da ultimo la sezione di controllo Piemonte, con la delibera n. 63/2020) abbia ritenuto che qualora l'ente locale, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, decidesse di accollarsi i debiti non onorati al termine della procedura liquidatoria, deve in ogni caso rinvenire un superiore interesse pubblico che va però concretamente individuato e di cui va data congrua motivazione. Solo il verificarsi di una simile eventualità potrebbe giustificare la rinunzia da parte dell'ente locale alla delimitata responsabilità patrimoniale della sua veste di socio così come previsto dal diritto societario. Rinunzia che deve poggiare su un'accertata utilità per l'ente locale nonché su condizioni finanziarie che permettano l'operazione di accollo dei debiti.

Pertanto, l'eventuale incapienza del patrimonio sociale per far fronte alle passività della liquidazione dovrà essere valutata caso per caso, per verificare se sussistano o meno le condizioni per erogare al liquidatore le somme necessarie per una chiusura in bonis della procedura.

Gli stessi soci pubblici, prima di mettere in liquidazione una società, ancorché questa opzione sia emersa nell'ambito della revisione (articolo 21 Tusp), devono valutare attentamente le prospettive della stessa procedura di liquidazione e i possibili riflessi sul proprio bilancio, tenuto conto che con la messa in liquidazione viene meno l'obbligo di accantonamento per le perdite delle società.

Com'è noto, la peculiarità della disciplina ordinaria delle società di capitali (l'unica forma di società in cui è consentita la partecipazione di amministrazioni pubbliche, articolo 3 del Tusp) si rinviene nel fatto che l'ordinamento civilistico ha disposto, in primo luogo, che le medesime società siano dotate di personalità giuridica la quale, si identifica con l'autonomia patrimoniale perfetta, ossia, nella totale separazione del patrimonio della società da quello dei soci.

Gli enti locali soci, tuttavia, non possono «trincerarsi» sic et simpliciter dietro la delimitata responsabilità patrimoniale delle società perché quelle a capitale pubblico, in particolare quelle in house, si connotano per un ulteriore peculiarità. La gestione e la tutela del patrimonio, infatti, è legata indissolubilmente al perseguimento delle rispettive finalità istituzionali che a loro volta incidono fortemente sulla materia delle responsabilità ultime, sia dei soci pubblici che degli amministratori, coinvolgendo oltre alla disciplina civilistica anche la disciplina amministrativa.

Vale la pena ricordare che la stessa Corte dei conti (Per prima la sezione di controllo Puglia, delibera n. 29/2012) ha ritenuto che un'eventuale errata programmazione o un manchevole esercizio delle prerogative di monitoraggio nell'esecuzione dei contratti da parte dell'ente locale socio, da cui discenda la necessità di intervenire con risorse straordinarie per ripianare le perdite, possa determinare responsabilità erariale ove sia dimostrato che la necessità dell'apporto finanziario trovi la sua origine in un'imprudente e imperita programmazione dei costi della esternalizzazione da parte degli organi amministrativi a ciò preposti.

In questo senso si rammenta la sentenza (sezione giurisdizionale del Lazio, con la sentenza n. 4 del 10 gennaio 2017) di condanna per danno erariale degli amministratori e dei dirigenti pubblici locali, per i danni cagionati al patrimonio di una società in house partecipata interamente dal Comune, a seguito del mancato esercizio del controllo analogo sulla medesima società.

In pratica, il giudizio contabile è attento a sanzionare quelle amministrazioni/amministratori che non esercitando le rispettive prerogative verso le persone giuridiche private, alle quali hanno deciso di affidare la gestione delle funzioni pubbliche, cagionando (in ragione di ciò) un «danno pubblico» e, dunque una lesione alle risorse pubbliche che legittima l'azione contabile.

Per contro, in merito alle responsabilità degli amministratori, con particolare riferimento alle società in house providing, è intervenuta a più riprese la Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza n. 22406/2018 e n. 10019/2019) evidenziando che l'aspetto decisivo nell'esame della disciplina sulla responsabilità di questi ultimi risiede nella portata interpretativa della medesima disciplina rispetto all'ordinamento civile e a quello pubblico.

In questa prospettiva, occorre evidenziare che la triplice ipotesi di responsabilità verso: a) la società b) i creditori sociali c) i terzi e i soci, che il nostro codice civile prevede a carico di amministratori e sindaci di Spa e di Srl va contemperata, con l'articolo 4 del Tusp che impone, ribadiamo, alle società a capitale pubblico e, segnatamente alle società in house, di svolgere attività strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente locale proprietario.

In dettaglio, la suprema Corte ha precisato, con la sentenza n. 22406/2018, che «l'azione di responsabilità trova fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio».

Al riguardo, appare emblematica la recente sentenza n. 614/2021 con la quale la suprema Corte ha confermato la condanna per danno erariale, già espressa dalla Corte dei conti, in capo a un amministratore di una società in house providing, a esito del mancato rispetto da parte di questi dei limiti posti dal budget assegnato dall'ente locale controllante ai fini di un'operazione di acquisto.

In definitiva, la mera attivazione del procedimento di liquidazione delle società a capitale pubblico se da un lato può rispondere alle esigenze di razionalizzazione dall'altro può non risolvere i correlati problemi di bilancio dei comuni soci, giacché è necessario che questi ultimi adottino tutte le misure idonee alla valutazione del rischio di squilibri economico - finanziari del gruppo pubblico locale.

In quest'ottica, gli enti locali dovrebbero organizzare il sistema di programmazione e controllo delle rispettive società partecipate secondo una metodologia unitaria, che a partire dalla gestione e tutela del patrimonio di queste ultime, in funzione del perseguimento dell'interesse generale, assicuri il coordinamento e la valorizzazione delle molteplici competenze (in primis giuridiche e contabili) di cui l'ente locale dispone. Ciò per ridurre e al limite eliminare le asimmetrie informative, sia con gli organismi partecipati, sia all'interno delle stesse amministrazioni, foriere di squilibri economico - finanziari, potenzialmente in grado di configurare molteplici profili di responsabilità.