I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Tari, uscita dal servizio pubblico dal 2022

di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La conversione in legge del decreto Sostegni (Dl 41/2021) risolve la questione della decorrenza della comunicazione di uscita dal servizio pubblico per la gestione dei rifiuti urbani da parte delle utenze non domestiche. Anche se gli effetti della riforma del Dlgs 116/2020 sulla Tari (e sulla tariffa) restano ancora ricchi di incertezze.

La modifica al decreto Sostegni
L'articolo 30, comma 5, del Dl 41/2021, nella sua versione originaria, aveva stabilito che le utenze non domestiche dovevano operare la scelta tra gestione pubblica e ricorso al mercato per il conferimento dei rifiuti urbani prodotti, presentando un'apposita comunicazione al Comune o al gestore del servizio (nel caso della tariffa) entro il 31 maggio di ogni anno. Tuttavia, la norma nulla diceva sulla decorrenza della scelta, seppure, a parere del ministero della Transizione ecologica – MiTE - (nota del 12 aprile 2021), la decorrenza non poteva che essere dall'anno successivo. Almeno dal 2022, allorquando il termine per validare il piano finanziario (Pef) ed approvare le tariffe della Tari torna ad essere fissato al 31 dicembre dell'anno precedente. Per il 2021, invece, la questione restava molto incerta. Da qui l'opportuno intervento del legislatore che, in sede di conversione del Dl 41/2021, ha espressamente stabilito che la comunicazione presentata entro il 31 maggio di quest'anno avrà effetto dal 2022 e che, a regime, la comunicazione, da presentarsi entro il 30 giugno di ogni anno, decorrerà sempre dall'anno successivo.
In questo modo i Comuni possono valutare preventivamente l'impatto sulle tariffe dell'eliminazione della quota variabile del tributo spettante alle utenze fuoriuscite (o almeno così parrebbe, vista l'infelice collocazione della disposizione agevolativa inserita nel comma 10 dell'articolo 238 del Dlgs 152/2006, riguardante non la Tari ma l'ormai soppressa TIA2). Più complesso è valutare l'effetto sul Pef della scelta delle utenze, scelta che si ricorda è vincolante per almeno 5 anni (salvo ripensamenti), tenuto conto che la quantificazione dei costi riportati nel Pef guarda a quello che è successo 2 anni prima e non tiene conto del potenziale effetto riduttivo di predetta scelta sui costi dell'anno di riferimento (salvo futuri interventi in merito dell'Arera). Pur se, per la verità già oggi, il totale delle entrate tariffarie determinate nel Pef rappresenta un limite massimo che potrebbe essere ridotto, qualora l'ente dimostri, nella relazione di accompagnamento, la presenza di voci di costo che ritiene di non coprire in quanto presenti nell'anno a-2 ma non più nell'anno a.

Incertezze applicative del Dlgs 116/2020
Tuttavia, restano molte zone d'ombra in merito agli effetti della novella del Dlgs 116/2020.
La prima riguarda il trattamento Tari delle attività industriali dopo la modifica della classificazione dei rifiuti apportata dal Dlgs 116/2020. Seppure appare pacifico che le superfici di lavorazione non siano più soggette alla Tari dal 2021, in quanto i rifiuti della produzione sono divenuti ope legis speciali (vedasi allegato L-quinquies al D.Lgs 152/2006 e art. 183, c. 1, let. b-sexies, del medesimo decreto), non altrettanto accade per il trattamento dei magazzini. Il comma 649 dell'articolo 1 della legge 147/2013 considera speciali solo i rifiuti prodotti in quelli di materie prime e merci, funzionalmente ed esclusivamente collegati al reparto produttivo di rifiuti speciali (così come definiti dal regolamento comunale), determinandone in questo modo l'esclusione dalla Tari. La disposizione citata non ha definito speciali tutti i rifiuti dei magazzini delle industrie diversi da quelli sopra indicati (come ad esempio quelli destinati ad accogliere prodotti finiti o altre merci estranee al processo produttivo), che quindi restano tassabili. Anche se il ministero della Transizione Ecologica, nella nota del 12 aprile 2021, ha assunto una posizione diversa. Restano inoltre tassabili tutti i locali diversi dai precedenti (uffici, mense, spacci, ecc.), in quanto i rifiuti che si producono negli stessi sono urbani, rientrando nell'allegato L-quater al Dlgs 152/2006. Va infatti ricordato che, seppure le attività industriali sono escluse dal novero delle attività che possono produrre rifiuti urbani (cioè dall'allegato L-quinquies), i rifiuti delle lavorazioni industriali sono definiti speciali dall'articolo 184 del Dlgs 152/2006 solo qualora siano diversi da quelli urbani. Come a dire che anche le attività industriali possono produrre rifiuti urbani.
Ancora più incerta è la questione delle attività artigianali. Il ministero della Transizione Ecologica le ha assimilate a quelle industriali. Ma a ben vedere le due tipologie di attività non hanno lo stesso trattamento ai fini della classificazione dei rifiuti prodotti, considerando che le attività artigianali sono, a differenza di quelle industriali, comprese nell'allegato L-quinques (categoria 20 Attività artigianali di produzione di beni specifici). Quindi, qualora i rifiuti dalle stesse prodotti rientrino nell'allegato L quater sono urbani, indipendentemente dal luogo in cui si generano. La direttiva 851/2018 UE ha stabilito che gli Stati membri devono provvedere a che i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici non rientrino nell'ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. Quindi non sono urbani i rifiuti della produzione, intendendo tale, alla luce della Direttiva, la produzione industriale (la grande attività industriale), caratterizzata da volumi dimensionali e tipologie di lavorazioni che normalmente esulano dai ristretti limiti dimensionali in cui deve rientrare per definizione normativa l'attività artigiana. In definitiva, i reparti di lavorazione artigianale non sono tout court esclusi dalla Tari, ma lo sono solo in quanto producono rifiuti non rientranti nell'allegato L-quater. Ma il MiTE non la pensa così.
In relazione alle imprese agricole e alle attività connesse a quelle agricole, il Dlgs 116/2020 è chiaro nell'escludere i rifiuti dalle stesse prodotti dall'ambito dei rifiuti urbani. Ne consegue che le superfici delle attività agricole e di quelle connesse sono escluse dalla tari, sia per la quota fissa e sia per quella variabile, e che i rifiuti prodotti non possono conferirsi al servizio pubblico di raccolta, in quanto rifiuti speciali. Con il paradosso che il medesimo rifiuto (ad esempio una scatola di cartone) se prodotto da un'utenza domestica è urbano, se prodotto da un agriturismo è speciale. Sul punto andrebbe precisata l'ambigua conclusione contenuta nella nota del MiTE del 12 aprile 2021, evidenziando che il conferimento al servizio pubblico dei rifiuti da parte delle imprese agricole è possibile solo dietro la stipula di una convenzione onerosa, esulando il servizio dall'ordinario conferimento dei contribuenti Tari al sistema pubblico della raccolta. Resta tuttavia il problema della gestione transitoria, considerando che molte realtà agricole, nell'incertezza normativa, continuano a conferire rifiuti al servizio pubblico.

Vincolo temporale della scelta e riduzioni del tributo
Altri aspetti devono essere chiariti. Premesso che, come anche affermato dal MiTE, l'opzione per il servizio pubblico vincola l'utenza per almeno 5 anni, senza possibilità di ripensamento (come avviene invece nel caso di scelta per il servizio privato), non sono chiari gli effetti della mancata comunicazione entro il 31 maggio. Si deve ritenere che l'utenza rimanga nel servizio pubblico, che assume funzione di servizio di "ultima istanza", quantomeno per il recupero dei rifiuti, ma non è chiaro se questa scelta "tacita" possa determinare l'insorgere di un vincolo almeno quinquennale alla gestione pubblica. Se così fosse, la data del 31 maggio diventa centrale, in quanto le comunicazioni degli anni futuri interesserebbero solo le nuove utenze (per le quali peraltro andrebbe definito in sede regolamentare un termine specifico di opzione). In altri termini, se così fosse, l'utenza non domestica che non sceglie entro maggio, non potrebbe più uscire dal pubblico per 5 anni. Inoltre, se è chiaro che la scelta di uscire dal servizio pubblico vincola l'utente a destinare tutti i suoi rifiuti urbani al recupero (e a comprovare questa destinazione), restringendo di fatto la facoltà di questa opzione alle utenze che non hanno rifiuti urbani indifferenziati non recuperabili (i quali non possono che smaltirsi con il servizio pubblico vigendo ancora il regime di privativa per questa destinazione), non è altrettanto chiaro se l'utenza che rimanga nel pubblico possa avviare parte dei suoi rifiuti urbani al recupero in forma autonoma. Ciò ha anche riflessi tributari rilevanti. L'impresa che esce dal servizio pubblico, recuperando tutti i rifiuti urbani, non paga la quota variabile; quella che rimane nel servizio pubblico, è soggetta alla tari per intero. Se quest'ultima potesse destinare alcune frazioni di rifiuto urbano al riciclo tramite soggetti privati (attenzione, riciclo e non recupero, considerato che il primo è un "di cui" del secondo e che il comma 649 fa riferimento espresso al riciclo), pur rimanendo nella gestione pubblica, potrebbe beneficiare della riduzione della quota variabile del tributo proporzionale ai rifiuti urbani riciclati, prevista dal comma 649 dell'articolo 1 della legge 147/2013 ("attualizzando" il riferimento contenuto nella norma ai rifiuti assimilati). In questo modo si potrebbe ipotizzare la coesistenza, seppure alternativa, tra le due misure riduttive previste rispettivamente dal comma 10 dell'articolo 238 del Dlgs 152/200 e dal comma 649 appena citato. Coesistenza già ipotizzata dal ministero dell'Economia e delle Finanze in una risposta ad un quesito durante l'evento Telefisco 2021. In mancanza, se la scelta per la gestione pubblica dovesse intendersi in via di esclusiva, allora si dovrebbe ritenere superata la norma del comma 649. Peccato però che la stessa non sia stata abrogata e che la nuova disposizione agevolativa è inserita in una disciplina diversa dalla Tari. Salvo non voler ritenere che il comma 649 non si applica più in ogni caso in quanto non esistono più i rifiuti assimilati. Insomma, un rompicapo di difficile soluzione, che andrebbe risolto al più presto, tenuto conto che entro giugno i Comuni devono aggiornare i regolamenti della Tari.

Adempimenti dei Comuni
Cosa devono fare i Comuni nel frattempo? Sicuramente sarà necessario determinare le tariffe della Tari tenendo conto della eliminazione delle superfici destinate a reparti di lavorazione industriale e dei magazzini funzionalmente ed esclusivamente a essi collegati, nonché di quelle agricole e delle attività connesse, al fine di quantificare le misure del prelievo in modo da garantire la reale copertura dei costi del servizio. Pur se predette utenze, per potere essere cancellate dal "ruolo", sono obbligate a presentare la dichiarazione del tributo, come previsto dal comma 685 dell'articolo 1 della legge 147/2013 (che potrebbe però arrivare anche a giugno dell'anno prossimo). Si dovrà anche tenere conto del "rientro" nella tari di tutte le superfici prima escluse per il superamento dei limiti quantitativi di assimilazione (non più riproponibili) Conseguentemente dovranno essere rimodulati i servizi di raccolta, che non potranno più ricevere i rifiuti derivanti dalle superfici sopra indicate, ma che dovranno adeguarsi alla mancanza dei limiti quantitativi (pur se il Comune e l'Egato possono stabilire le modalità organizzative della raccolta a cui gli utenti devono adeguarsi).
In relazione alle comunicazioni di fuoriuscita dal servizio pubblico presentate dalle utenze non domestiche entro il prossimo 31 maggio, le stesse non avranno effetto per il 2021, ma solo nella quantificazione delle tariffe e dei costi del Pef 2022 (seppure quest'ultimo dovrà guardare al 2020, salva l'adozione di misure correttive annunciate da Arera nel prossimo metodo tariffario 2022-2025- Mtr-2).
Entro giugno andranno adeguati i regolamenti comunali della Tari alle nuove disposizioni di legge in materia, seppure, per quanto attiene alla disciplina dell'opzione di uscita dal servizio pubblico, la stessa potrebbe anche più opportunamente inserirsi nel regolamento di gestione del servizio (il quale non è soggetto alla rigida regola della decorrenza annuale prevista invece per i regolamenti delle entrate).

(*) Vice presidente Anutel

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LE PROSSIME INIZIATIVE ANUTEL PER IL SETTORE TRIBUTARIO
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- 19/5/2021: corso per operatori di nuova nomina: la nuova imu - seconda giornata (15,00-17,00)
- 20/5/2021: le novità per la tari 2021: pef, tariffe, versamenti, tefa e trasparenza (10,00/12,00)
- 20-21/5/2021: corso pratico sul processo tributario (15,30-17,00 – 9,30-12,00)
- 21/5/2021: corso per operatori di nuova nomina: la nuova imu – terza giornata (15,00-17,00)

- 26/5/2021: imu agevolazioni covid anni 2020 e 2021 (15,00-17,00)
- 27/5/2021: tari: le novità del d.lgs. 116/2020 e le modalità di gestione del prelievo sui rifiuti (10,00-12,00)
- 27/5/2021: la motivazione degli atti impositivi e delle sentenze del giudice tributario i principi elaborati dalla giurisprudenza (15,00/17,00)
- 31/5-1/6/2021: corso di preparazione e qualificazione per funzionari responsabili della riscossione (9,00-13,00 / 14,30 – 18,30)
- 4/6/2021: l'accertamento nei tributi comunali e gli istituti deflattivi del contenzioso (15,00-17,00)
- 9/6/2021: focus imu pertinenze – le aree e i fabbricati (15,00-17,00)
- 16/6/2021: imu: beni merce, leasing, comodati e canoni concertati (15,00-17,00)

LE PROSSIME INIZIATIVE ANUTEL ALTRI SETTORI
Videoseminari gratuiti per i Comuni associati Anutel
- 20/5/2021: gestione del personale degli enti territoriali - seconda giornata (9,00-11,00)
- 24/5/2021: la privacy governance nella p.a. organizzare un efficiente sistema di gestione post gdpr (15,00-17,00)
- 8/6/2021: l'affidamento di incarichi di patrocinio legale nel settore pubblico (10,00/12,00)

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PROGRAMMAZIONE, PERFORMANCE E RISK MANAGEMENT NEGLI ENTI LOCALI
Corso che consente l'acquisizione dei crediti formativi richiesti dalla legge ai componenti degli OIV.
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