Amministratori

Partecipate, escluso il Cda per le società minori (anche se organizzate senza direttore generale)

La mole delle incombenze e la complessità gestionale giustificano l'opzione assembleare di un organo collegiale

di Michele Nico

Con riferimento alla governance delle società a controllo pubblico, la mole delle incombenze a carico dell'organo esecutivo per la mancata previsione della figura del direttore generale nella macrostruttura, nonché l'asserita complessità gestionale relativa ai servizi svolti non sono ragioni valide per giustificare l'opzione assembleare di un organo collegiale in alternativa all'amministratore unico che, secondo l'articolo 11, comma 3, del Tusp, è di norma l'organo amministrativo da nominare alla guida delle società in mano pubblica, per necessità di contenimento dei costi. Lo ha affermato la Corte dei conti, Sezione di controllo per l'Abruzzo, con la deliberazione n. 58/2023/VSG.

Il caso
La Sezione ha preso in esame i piani di ricognizione periodica adottati nel biennio 2021-2022 da un Comune ex articolo 20 del Tusp, e ha rilevato molteplici profili di criticità in ordine alla gestione di due società in house, l'una frutto della trasformazione di un'azienda speciale operata dal Comune nel 2019, affidataria dei servizi sociali e delle farmacie comunali, e l'altra istituita nel 2007 per la gestione delle riscossioni dell'ente locale.
Con riferimento a tali società – di cui la seconda in condizioni di estrema precarietà economico-finanziaria – la Corte ha evidenziato una «non adeguata motivazione dei piani di razionalizzazione delle partecipazioni detenute al 31 dicembre 2021 e 2022 sia in ordine alle ragioni che giustificano l'indispensabilità dello strumento societario per lo svolgimento dei servizi comunali affidati, sia in ordine al correlato mantenimento di due distinti veicoli societari in house».
Per quanto riguarda la prima società titolare dei servizi alla persona, la Corte ha obiettato che essa è retta da un organo collegiale e non da un amministratore unico, mentre la delibera assembleare di nomina del cda non ha motivato le «specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa» a supporto di tale opzione (articolo 11, commi 2 e 3, del Tusp).
Sul punto, il Comune socio ha fornito le seguenti controdeduzioni:
a) l'ente ha ritenuto di poter mantenere nell'amministrazione della società in house gli organi dell'ex-azienda speciale, che per legge sono il cda, il presidente e il direttore (articolo 114 del Tuel);
b) nella macrostruttura societaria non è stata comunque prevista la figura del direttore generale, per cui tutte le attività gestionali riconducibili ai servizi svolti fanno totalmente carico all'organo esecutivo, che per questa ragione è stato costituito in forma collegiale.

Le censure della Corte
Per contro, la Sezione ha evidenziato che la scelta di un cda per la società considerata non si giustifica in rapporto alla «semplicità della struttura organizzativa e la circoscritta operatività, sia qualitativa (due sole tipologie di servizi gestiti) che quantitativa (ambito territoriale di riferimento)».
Oltretutto, nel caso di specie la società ha un unico socio e non si pone quindi la questione di assicurare la rappresentanza di altri soci nell'esecutivo per garantire l'esercizio del «controllo analogo congiunto».
Di qui la censura per l'opzione organizzativa prescelta, che secondo i giudici non solo costituisce «una palese violazione del disposto dell'art. 11 del Tusp, ma appare, altresì, ridondare in un evidente mancato esercizio da parte del Comune dei poteri e degli obblighi di vigilanza sullo stesso gravante uti socius di una società interamente partecipata, secondo il modello dell'in house».

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