Appalti

Appalti, no della Consulta ai premi per le imprese che usano manodopera locale

Sulle restrizioni (eccezionali) della concorrenza, afferma la Corte, lo Stato ha la competenza esclusiva

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di Massimo Frontera

«Solo allo Stato spetta la facoltà di adottare, in esito al bilanciamento tra l'interesse alla concorrenza e altri interessi pubblici e nell'ambito di una disciplina uniforme per l'intero territorio nazionale, eccezionali restrizioni al libero accesso degli operatori economici al mercato, che, ove disposte da differenti normative regionali, sarebbero suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali». Con questa motivazione (che ricalca una analoga pronuncia del 2009) la Corte Costituzionale ha cassato la norma regionale del Piemonte (n.15/2020, articolo 75) che introduceva nella valutazione delle offerte per gli appalti pubblici un criterio premiale per le imprese che utilizzassero in misura prevalente manodopera locale. La pronuncia n.4/2022 è stata pubblicata oggi sul sito.

La norma regionale è nata con il chiaro scopo di sostenere l'economia del territorio nell'emergenza della pandemia. La Regione ha previsto la vigenza di questa misura al solo periodo di emergenza dichiarato dal governo, subordinando la norma - ma in modo formale e generico - al «rispetto delle disposizioni dell'Unione europea». La norma, oltre a confliggere con il codice appalti (articolo 30), è stata dichiara illegittima ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione perché - appunto - rappresenta una «indebita ingerenza» del legislatore regionale «nell'ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza».

L'esigenza di sostenere l'economia del territorio in una circostanza straordinaria come quella della pandemia è correttamente inquadrata dalla Corte nel «più ampio tema dell'uso "strategico" dei contratti pubblici per la realizzazione di obiettivi sociali, oltre che di tutela ambientale e di sviluppo sostenibile, ulteriori rispetto alle finalità proprie dei contratti stessi». Esigenze che, ricorda la Corte, «sono state effettivamente considerate dal legislatore statale, in attuazione di scopi enunciati dalle stesse direttive europee in materia di appalti». Il punto è che questa azione spetta unicamente ed esclusivamente al legislatore statale.

Respinto anche l'argomento secondo cui la norma regionale attuerebbe uno dei principi contenuti nella legge delega sugli appalti (n.11/2016), e cioè quello che si legge all'articolo 1, comma 1, lettera ddd) sulla «valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l'esecuzione dell'appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto, in ottemperanza ai princìpi di economicità dell'appalto, promozione della continuità dei livelli occupazionali, semplificazione ed implementazione dell'accesso delle micro, piccole e medie imprese, tenendo anche in considerazione gli aspetti della territorialità e della filiera corta e attribuendo un peso specifico anche alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti pubblici, comunque nel rispetto del diritto dell'Unione europea».

Dalla lettura della pronucia della Corte costituzionale si ricava che, di fatto, la legge regionale non avrebbe prodotto effetti. Prima di tutto perché la norma dichiarata illegittima - stando ai controlli a campione effettuati dalla stessa amministrazione sulle gare aggiudicate nel periodo di vigenza - non sarebbe mai stata applicata. E in secondo luogo perché, una volta scaduto il termine fissato inizialmente dal governo per la fine dell'emergenza sanitaria (31 dicembre 2020), la regione non ha "novellato" la norma, adeguandola alle successive proroghe decise dal governo.

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