Appalti

Concessioni demaniali, il Comune non può disapplicare la proroga anche se in contrasto con il diritto Ue

La norma interna può essere disapplicata soltanto dal giudice, la tutela giurisdizionale garantisce uniformità di applicazione su tutto il territorio nazionale

di Pietro Verna

La norma interna che viola il diritto dell'Unione europea può essere disapplicata soltanto dal giudice perché il sistema della tutela giurisdizionale offerta dall'ordinamento garantisce uniformità di applicazione della norma su tutto il territorio nazionale. In caso contrario «si determinerebbe una situazione caotica ed eterogenea, nonché caratterizzata […] da disparità di trattamento tra gli operatori a seconda del Comune di riferimento». In questi termini, il Tar Puglia, con la sentenza n. 1321/2020, si è pronunciato sull'applicazione dell'articolo 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» che proroga sino al 31 dicembre 2033 le concessioni demaniali per finalità turistico ricreative in scadenza il 31 dicembre 2020.

Il Collegio ha accolto il ricorso contro il provvedimento con il quale il Comune di Castrignano del Capo aveva annullato d'ufficio (articolo 21-novies della legge 241/1990) la proroga di una concessione balneare perché adottato in violazione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea CGUE del 14 luglio 2016 (cause riunite C-458/14 e C-67/15) che afferma la contrarietà delle proroghe ex lege delle concessioni demaniali rispetto all'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva "Bolkestein" (« [la concessione] non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente») e all'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - Tfue che sancisce la libertà di stabilimento.

Provvedimento che il Tar ha ritenuto contra legem in (solitaria) discontinuità dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui « la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto dell'Unione europea, a maggior ragione se tale contrasto sia stato accertato dalla Corte di Giustizia UE, costituisce un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l'apparato amministrativo e per i suoi funzionari qualora siano chiamati ad applicare una norma interna contrastante con il diritto comunitario» (Consiglio di Stato, sentenze n. 1342/2018; n. 3072/2006). Motivo per il quale «qualora emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto euro unitario, è fatto obbligo al dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di applicarla» (Consiglio di Stato, sentenza n. 7874/2019 che richiama il punto 31 della pronuncia della CGUE del 22 giugno 1989: «sarebbe […] contraddittorio statuire che i singoli possano invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva […], allo scopo di far censurare l'operato dell'amministrazione, e al contempo ritenere che l'amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali a esse non conformi».

Il giudice amministrativo salentino è pervenuto a conclusioni opposte:
• ha escluso che alla pubblica amministrazione possa essere riconosciuto il potere di disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto euro unitario per il fatto che «il funzionario preposto […] non dispone del potere di rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia, attribuito prudentemente dall'ordinamento interno e dall'ordinamento euro-unionale»;
• ha ritenuto «non vincolante» la circolare del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 19 dicembre 2019 recante istruzioni in linea con il suindicato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato,
segnalando «lo stato di assoluta incertezza per gli operatori e per le pubbliche amministrazioni per l'assenza della normativa di riordino della materia» (articolo 24, comma 3-septies del decreto legge 113/2016, convertito dalla legge 160/2016).

Un vuoto normativo che il legislatore dovrà colmare al più presto. Lo esige anche la Commissione Ue che il 3 dicembre 2020 ha inviato al Governo una "lettera di costituzione in mora" con la quale ha evidenziato che «la normativa italiana oltre a essere incompatibile con il diritto dell'Ue, sia in contrasto con la sostanza della sentenza della CGUE [del 14 luglio del 2016], crei incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi gli investimenti in un settore fondamentale per l'economia italiana già duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa».

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