Danno erariale, la difformità dei profili di legittimità amministrativa non basta a integrare l'illecito
Si va consolidando l'orientamento secondo il quale l'azione di responsabilità non ha per oggetto atti ma comportamenti
Nella giurisprudenza contabile si consolida sempre più l'orientamento secondo il quale l'azione di responsabilità per danno erariale innanzi alla Corte dei conti non ha per oggetto atti amministrativi, bensì comportamenti che abbiano cagionato un effettivo danno all'amministrazione con la conseguenza che il giudice contabile non può limitarsi ad accertare l'illegittimità dell'atto amministrativo ma dovrà necessariamente valutare il concreto danno arrecato all'amministrazione. Il principio trova conferma anche nella sentenza della seconda sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti n. 394/2021.
Per il Collegio giudicante la sola difformità in relazione a profili di legittimità amministrativa non costituisce, di per sé, elemento sufficiente all'integrazione dell'illecito contabile. Essenziale è la verifica della sussistenza di un danno attuale e concreto, che si ponga in nesso di stretta causalità materiale con i comportamenti oggetto di contestazione.
La Procura contabile, nell'atto di citazione, rilevava una pretesa violazione del divieto stabilito dall'articolo 23 della legge 62/2005, in materia di rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione, contestando al riguardo l'ipotesi di pregiudizio patrimoniale in virtù di un'omessa procedura a evidenza pubblica e conseguente mancato risparmio di spesa in capo alla pubblica amministrazione.
Per il Collegio giudicante, acclarata l'illegittimità della condotta imputata, occorre verificare la sussistenza o meno del nesso causale tra la stessa e il danno patrimoniale contestato dalla Procura regionale e identificata l'effettiva sussistenza del danno, da commisurarsi nel mancato introito della maggiore somma che il Comune avrebbe incassato nel caso in cui si fosse proceduto, a seguito della scadenza contrattuale, a mezzo di una nuova pubblica gara, consentendo il confronto concorrenziale tra più operatori economici.
A tal fine i magistrati non hanno ritenuto sufficiente ai fini probatori, la documentazione relativa alla comparazione di altre concessioni apparentemente analoghe sul territorio in quanto, dai raffronti dalle medesime desumibili, emerge la difformità delle condizioni economiche pattuite nell'ambito dei diversi contratti, che confortano la tesi della non assimilabilità delle clausole contrattuali, anche economiche, che accedono a rapporti distinti e dell'inutilizzabilità, ai fini probatori in ordine all'individuazione del corretto corrispettivo del servizio di cui trattasi, di risultanze di gare effettuate presso distinte amministrazioni, caratterizzate da differenze strutturali di dimensioni, bacini d'utenza del servizio e relative necessità.