Il CommentoAmministratori

Pnrr, la resilienza va tradotta in metodologia di risultato

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di Ettore Jorio

Ripresa e resilienza costituiscono, rispettivamente, la mission e lo strumento da tenere nella cassetta degli attrezzi per rendere il Pnrr una realtà godibile alla società civile. Quanto alla resilienza, entrata oramai nell'orecchio comune, prescindendo dalla sua esatta decifrazione, occorre tirare fuori il vocabolario e scovare un suo nuovo e più opportuno significato. Ciò al di là di quello reso comunemente propiziatorio per affrontare e risolvere i grandi problemi che affliggono il Paese, con un Covid che ancora insegue, una guerra che terrorizza, anche le coscienze, e un raddoppio dei prezzi delle materie prime.

A fronte del suo significato recato dalla Treccani, la resilienza rappresenta l'augurale forza di reagire di fronte a traumi (e di questi il Paese e, soprattutto il Sud sono ben attrezzati) e a periodi di difficoltà, avversità, eventi negativi (dei quali la Nazione ha pieno zeppo il suo zaino).

Solo che si vogliano tuttavia affrontare e colmare davvero i gap che la comunità d'Europa, umana e istituzionale, si troverà davanti, ma prioritariamente il suo Mezzogiorno estremo e con esso il Sud Italia, necessita pervenire a una interpretazione più adeguata di resilienza sociale, evitare che con essa si concretizzi un semplice abuso terminologico.

Occorre trasformarla da «parola magica», quasi da regola scaramantica, ottimale per risolvere tutto, a un impegno concreto globale della Pa e della imprenditoria. Tutto questo al fine di stimolare e esercitare una sorta di buona pratica, burocratica e produttiva, per superare gli handicap da tempo caratterizzanti il sistema Italia, da applicarsi con il contributo concreto dell'Istituzione europea. In buona sostanza, con impegno di una Unione europea disponibile a rendersi parte attiva di una complicità interistituzionale in tal senso a 360°, a tutela della realizzazione di quanto programmato con la Next Generation Eu.

É in campo un progetto infrastrutturale difficile da mettere a terra se non con sensibili incrementi delle risorse e con maggiore disponibilità della stessa Ue a rendere elastici i suoi limiti normativi, eccessivi nella loro rigidità imperativa in relazione ai risultati pretesi dagli Stati membri rispetto al Pil. Due limiti cronici che hanno fornito la prova di legiferare in assenza di una attendibile conoscenza tendenziale generale dell'economia e della capacità dei sistemi delle autonomie di non sapersi via via adeguare a essa. Non solo. Che hanno evidenziato una scarsa attitudine previsionale, anche nel medio termine.

Al di là della sua comprensibile aspettativa psicologica di imprimere «forza e coraggio», la resilienza è la spinta di un «modus vivendi» da spendere in termini di prevenzione generalizzata, tale da assumere come obiettivo sociale la cosiddetta «decrescita felice» (Latouche, docet), indipendente dal Pil, utile a sviluppare modelli capaci di superare tutte le crisi e di non soccombere a esse.

In tale senso, è giusto che il Paese e la Nazione si attrezzino, con un Governo e un sistema delle autonomie territoriali che sia capace di istruire subito le pagine del più utile manuale di resilienza, ove si dia alla stessa la strumentalità necessaria a perseguire e raggiungere il risultato e non già un semplice e inutile augurio di riuscirvi.

Resilienza è un augurio di partenza che va tradotto in metodologia di risultato. Pertanto non va confinata nella gradevolezza di un sogno bensì deve essere eretta a criterio generale di realizzazione e di conseguimento degli obiettivi delle politiche pubbliche funzionali, oggi, a mettere a terra le opere del Pnrr e a generare le riforme strutturali dallo stesso pretese.