Amministratori

Alluvioni e calamità, profili di rischio e responsabilità dei vertici degli enti

L'attribuzione di responsabilità in capo all'organo politico comporta la necessità di valutare il rilievo di un'eventuale delega all'organo amministrativo

di Gian Filippo Schiaffino (*) e Francesca Mondini (*)

Quanto accaduto a Palermo lo scorso 15 luglio – quando la città, lo si rammenta, veniva colpita da una pesante alluvione che causava ingenti danni di natura materiale, con grave pericolo per l'incolumità stessa delle persone – impone necessariamente un'approfondita analisi dei profili attinenti alla responsabilità degli organi istituzionali variamente coinvolti nella pianificazione, progettazione e manutenzione degli impianti infrastrutturali cittadini.

Giova sul punto ricordare che, in linea generale, i rapporti tra organi politici e amministrativi sono regolati dal principio di separazione – distinzione consacrata dall'art. 4 del Dlgs 165/2001 – sulla scorta del quale agli "organi di governo" sono attribuite le funzioni di indirizzo politico – amministrativo, vale a dire la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, l'adozione di atti rientranti specificamente in tali funzioni, la verifica della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa rispetto agli indirizzi impartiti; viceversa, spetta agli "organi dirigenziali" la concreta adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi (come gli atti di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa con autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo), rispetto a cui sono pertanto da ritenersi responsabili in via esclusiva.

Detto principio di separazione, invero, non è assoluto, potendo lo stesso essere derogato purché in forma espressa e ad opera di specifiche disposizioni legislative, come previsto dallo stesso comma 3 della richiamata disposizione del Dlgs 165/2001.
In presenza di tali deroghe, potrebbe allora configurarsi una posizione di garanzia dell'organo di governo per i reati commessi nella gestione amministrativa da altri politici o da dirigenti, in quanto dalle eccezionali funzioni gestionali attribuite all'organo politico potrebbe derivare la sussistenza di poteri impeditivi dei reati commessi da altri amministratori, con conseguente responsabilità dei primi nel reato commissivo dei secondi (purché, s'intende, il reato sia commesso nell'ambito delle competenze di cui l'organo politico sia eccezionalmente munito).

Viceversa, è bene precisare, nel caso in cui il principio di separazione operi senza deroghe, la titolarità di una posizione di garanzia da parte degli organi politici – sub specie di obbligo di impedimento dei reati commessi dai dirigenti nel corso della gestione amministrativa – si ritiene generalmente esclusa.

Questi cenni preliminari relativi all'ipotesi di responsabilità concorsuale in esame denotano sin da subito l'elevata complessità di un contesto nel quale non solo convergono tematiche penalistiche di varia natura, ma gli stessi criteri usualmente utilizzati per l'accertamento della responsabilità penale si colorano di profili oltremodo innovativi.

Non è un caso, infatti, se tutti i procedimenti penali scaturiti da eventi come quello di Palermo hanno poi evidenziato ed affrontato innumerevoli difficoltà nella ricostruzione delle posizioni di garanzia e dei singoli addebiti di colpa, del grado di prevedibilità degli eventi e della condotta alternativa lecita eventualmente richiesta.

E infatti, se pure è vero che gli ultimi accadimenti del capoluogo siciliano – come noto interessato da una pioggia incessante che si è accumulata in diverse aree cittadine, non riuscendo ad essere smaltita con conseguenti gravi allagamenti – costituiscono un nubifragio dalle dimensioni anomale, si deve tuttavia sottolineare che esso non si configura affatto alla stregua di un evento nuovo e sconosciuto al panorama siciliano, né tanto meno a quello nazionale.
Basti pensare, a titolo esemplificativo, ai tragici fatti avvenuti a Genova nel 2011, quando, a seguito di piogge eccezionalmente intense e concentrate sul territorio, si verificava l'esondazione del fiume Fereggiano, che travolgeva cose (veicoli, cassonetti) e passanti, determinando la morte di sei persone, e lesioni ad altre due, nonché enormi danni a beni materiali, assumendo le caratteristiche proprie del disastro, come disciplinato dagli artt. 449 e 434 c.p.

La circostanza stessa che il procedimento che ne è scaturito, dopo ben tre gradi di giudizio, non sia ancora giunto a una conclusione definitiva, evidenzia, come sopra anticipato, le difficoltà correlate all'accertamento della responsabilità in capo agli organi cui sono attribuite posizioni e competenze direttive e gestionali nell'ambito dell'apparato cittadino.

In quel caso erano coinvolti, in qualità di imputati, oltre al sindaco di Genova, anche l'assessore del Comune di Genova con deleghe alla Polizia Municipale, Sicurezza e Protezione Civile; il direttore generale dell'Area Sicurezza e Progetti Speciali del Comune di Genova; il direttore della Direzione "Città Sicura" del Comune di Genova (in cui era incardinato il Settore Protezione Civile); il dirigente del Settore Protezione Civile del Comune di Genova (tutti componenti del Centro Operativo Comunale).
I soggetti menzionati, evidentemente implicati a vario titolo negli obblighi di salvaguardia e di prevenzione dei beni cittadini a fronte di possibili eventi emergenziali, sono stati dunque chiamati a rispondere tutti, indistintamente, di accadimenti gravi come l'omicidio colposo, le lesioni colpose e il cd. disastro innominato.

Al riguardo, la Suprema Corte nel 2019 – annullando con rinvio la sentenza della Corte Territoriale – ha enunciato una serie di importanti direttive che, si presume, guideranno le future decisioni di casi simili, come, tra gli altri, l'alluvione di Palermo.

D'altra parte, come asserito dagli stessi Ermellini "negli ultimi dieci anni si è assistito ad una significativa crescita dei procedimenti giudiziari che hanno fatto seguito a catastrofi naturali, con i giudici chiamati a valutare la sussistenza di colpa nei comportamenti dei soggetti a vario titolo implicati nella gestione delle catastrofi stesse, allargando l'area di indagine anche alla fase di previsione e di "gestione informativa della previsione", sia all'interno del sistema di Protezione civile, sia nei confronti della popolazione interessata".

Sulla scorta di detta premessa, la Corte riteneva priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto la decisione della Corte genovese, che aveva ritenuto gli imputati colpevoli dei reati di omicidio colposo plurimo e di disastro colposo "il Sindaco ex lege e gli altri imputati in ragione dei ruoli decisori ricoperti all'interno del COC e di un'assunzione in fatto delle posizioni di garanzia nella concreta gestione del rischio".

Un'assunzione di fatto della gestione del rischio, in altri termini, che ha una propria autonomia e che è espressamente attribuita ad organi diversi dal Sindaco e dello stesso adiuvanti, dotati in concreto di chiari poteri decisori – oltretutto ben esplicitati dal Piano Comunale di Emergenza – che li rende destinatari di obblighi di garanzia specifici e svincolati, in quanto tali chiamati a rispondere personalmente di eventuali eventi catastrofici.

Sotto questo profilo gli accadimenti di Palermo possono senz'altro rappresentare l'occasione per soffermarsi, una volta di più, sul coacervo di responsabilità in astratto connesse alla verificazione di determinate fattispecie criminose – quali in particolare i reati ambientali – e per indurre una più approfondita analisi in merito alla sussistenza di posizioni di garanzia e di poteri impeditivi in capo alle diverse istituzioni e agli innumerevoli soggetti coinvolti.

È infatti, soprattutto, questa tipologia di figure criminose a vedere il coinvolgimento e la continua interazione dell'organo politico e di quello amministrativo, la cui confusione di ruoli e di competenze rende particolarmente difficoltosa l'individuazione del soggetto garante dotato di poteri impeditivi rispetto al verificarsi dell'evento, la cui condotta sia effettivamente censurabile sotto il profilo della responsabilità omissiva colposa.

La problematica di accertare una responsabilità penale per omesso impedimento in capo all'organo politico rispetto ad attività rientranti nella sfera della gestione amministrativa non è infatti di facile determinazione, alla luce dei confini spesso labili e sfumati delle competenze specificamente attribuite a ciascun organo, in forza di atti spesso dal contenuto variamente interpretabile.

Trattasi, in altri termini, dell'annosa questione relativa alla configurabilità in capo all'organo rappresentativo ed esponenziale dell'ente pubblico di una responsabilità omissiva impropria per il mancato impedimento di eventi lesivi. In simili ipotesi, infatti, l'attribuzione di responsabilità in capo all'organo politico comporta la necessità di valutare il rilievo di un'eventuale delega all'organo amministrativo, con il conseguente trasferimento della posizione di garanzia in origine gravante sul predetto organo politico.

Una problematica, quest'ultima, che riporta ad un altro tema particolarmente dibattuto nella dottrina e nella giurisprudenza penalistiche, vale a dire la differenza tra i due modelli di trasferimento delle posizioni di garanzia: la "delega" – con cui la posizione del garante originario subisce una trasformazione, assumendo i contorni di un obbligo di vigilanza e controllo sull'attività del delegato – e la "successione", con cui il garante originario, a seguito della cessione al nuovo titolare della fonte di pericolo, dismette totalmente i propri poteri impeditivi, con conseguente liberazione integrale del soggetto recedente dall'iniziale funzione.

E infatti – e la questione dovrà essere necessariamente sviscerata dalle Autorità siciliane – se usualmente viene individuata una posizione di garanzia su cui gravano obblighi di prevenzione e di adozione di specifiche misure in capo a soggetti in posizioni apicali, come il Sindaco, devesi tuttavia rilevare che la molteplicità delle attività da svolgere, e l'estrema varietà degli adempimenti connessi alla titolarità delle posizioni di vertice, inducono i soggetti apicali ad avvalersi per le loro attività delle complesse articolazioni che caratterizzano tutte le moderne strutture associative, con conseguente rilievo sempre maggiore della predetta "delega di funzioni".

Senza voler in questa sede trattare esaurientemente la questione, basti sul punto precisare che, affinché una delega di funzioni possa dirsi efficace, e possa dunque determinare l'insorgenza di posizioni di garanzia in capo ai soggetti delegati, essa deve rispettare determinate condizioni: dev'essere conferita e accettata con atto scritto avente data certa, dev'essere rivolta ad un soggetto dotato di requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla natura dell'incarico, cui devono essere attribuiti tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, oltre all'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni.

Condizioni, queste ultime, senz'altro esistenti – in un caso come quello di Palermo – in relazione agli alti dirigenti, rispetto ai quali non v'è dubbio che vi fossero obblighi di prevenzione e di gestione delle emergenze non correttamente esercitati, ma la cui verifica potrebbe far emergere ulteriori condotte colpose poste in essere da soggetti subordinati, dotati soltanto in concreto di una posizione di garanzia "derivata".

Sono in definitiva molteplici, in eventi tragici come quello recentemente occorso in Sicilia, i profili di rilievo penale che vengono alla luce e che impongono acute riflessioni; ci si auspica che detto approfondimento non si arresti ad un piano strettamente teorico ma sia seguito da interventi anche a livello pratico, volti a fornire una più chiara enucleazione e definizione dei compiti e, di conseguenza, delle responsabilità eventualmente derivanti da una loro violazione non giustificata.

(*) Amtf Avvocati

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