Personale

Procedimento disciplinare, l'assoluzione penale del dipendente non ne impedisce il licenziamento

Legittima la sanzione inflitta al funzionario del Comune che accetta regalie, considerate da lui d'uso e quindi lecite

di Andrea Alberto Moramarco

È legittimo il licenziamento del dipendente del Comune che accetta regalie, considerate da lui d'uso e quindi lecite, per velocizzare gli atti. Si tratta, infatti, di un comportamento di gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro. La sanzione disciplinare scatta, inoltre, a prescindere dall'esito del processo penale instaurato per il medesimo fatto. Il potere disciplinare del datore di lavoro può esercitarsi indipendentemente dalla configurabilità dell'azione come reato. A dirlo è la Cassazione con la sentenza n. 3659/2021.

Tutto nasce da un servizio di "Striscia la Notizia", che riprendeva attraverso una videocamera un funzionario amministrativo di Roma capitale, addetto allo sportello dei Cimiteri capitolini, il quale chiedeva ai cittadini che presentavano denuncia di morte, in diverse occasioni, 5 euro per ottenere più velocemente il relativo e gratuito certificato. La vicenda non passava inosservata e si apriva nei confronti del dipendente sia un procedimento penale per il reato di corruzione, sia un procedimento disciplinare. Sul versante penale, la vicenda si è conclusa con una assoluzione, sostanzialmente perché non c'era stata una esauriente indagine volta a corroborare l'accusa di corruzione; il versante disciplinare, invece, si è concluso con un licenziamento senza preavviso.

Di qui la vicenda è passata al vaglio dei giudici i quali, sia in primo che in secondo grado, hanno confermato la bontà della massima sanzione disciplinare. In particolare, la Corte d'appello ha ritenuto il licenziamento proporzionato alla gravità dei fatti contestati, anche considerando che il codice di comportamento adottato dalla giunta capitolina vietava l'accettazione di regali o altre utilità di modico valore se «non d'uso» e se collegati a una pratica amministrativa.

La questione è passata così all'esame della Corte di cassazione, dinanzi alla quale il dipendente licenziato ha contestato la sproporzione della sanzione inflittagli, nonché il fatto che i giudici non avessero preso in considerazione l'assoluzione in sede penale. I giudici di legittimità hanno rigettato però il ricorso, ritenendo impeccabile la decisione impugnata e cogliendo l'occasione per sottolineare l'autonomia del procedimento disciplinare dal processo penale.

In primo luogo, la Suprema corte ha confermato che il licenziamento ben può essere irrogato quando c'è una violazione del codice disciplinare tale «da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro». E nel caso di specie, si è trattato di una violazione di un obbligo espresso, ovvero quello «di non ricevere regali o denaro in ragione dell'assolvimento di compiti d'ufficio»; violazione che ha leso gravemente l'immagine dell'amministrazione «determinando una irreparabile lesione del rapporto di fiducia con il datore di lavoro».

In secondo luogo, i giudici di legittimità hanno precisato che l'assoluzione nel processo penale ha riguardato il fatto corruttivo, «ma non ha certo escluso il fatto materiale costituito dalla ricezione da privati, nell'esercizio delle funzioni, di somme di denaro». Tanto basta a fondare una valutazione in sede disciplinare. Difatti, ricorda il Collegio, nell'ambito dei rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, il giudicato penale non preclude «una rinnovata valutazione dei fatti accertati, «attesa la diversità dei presupposti e delle rispettive responsabilità», fermo soltanto il limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità. Ciò significa, che stante la ricostruzione dell'episodio come risultante dal procedimento penale, anche in caso di assoluzione questo può essere valutato e posto a fondamento di un provvedimento disciplinare.

Il procedimento disciplinare, infatti, non è posto a tutela di interessi della collettività, né assolve alla funzione propria della pena. Esso intende tutelare l'interesse del datore di lavoro al corretto adempimento della prestazione lavorativa, sicché l'accertata circostanza di ricevere denaro in occasione delle proprie funzioni integra un inadempimento di tale prestazione che, data la sua gravità, giustifica il licenziamento.

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