Appalti

Infrastrutture: «In cassa 95 miliardi, non c'è solo il Recovery fund»

Il sottosegretario Margiotta rinnova l'invito a usare le deroghe del Dl Semplificazioni. Presentato un studio del Cresme su qualità delle opere pubbliche e qualifcazione degli operatori

di Mauro Salerno

Non passa solo dal Recovery fund il rilancio delle infrastrutture. Anzi. I fondi in arrivo dall'Europa «devono essere aggiuntivi e non rischiare di essere sostitutivi» dei finanziamenti che sono già disponibili per la realizzazione delle opere. Prima della pandemia si era arrivati a una stima di 130 miliardi già stanziati ma non spesi per i grandi cantieri italiani. Ora alle Infrastrutture hanno rifatto i conti e sono arrivati a una valutazione più dettagliata. «Ci sono in cassa 95-100 miliardi disponibili», ha precisato il sottosegretario Salvatore Margiotta, partecipando a un incontro on line sulla qualità delle opere pubbliche organizzato dall'istituto di ricerca Cresme con l'Ifel. «Ora l'imperativo è correre», ha sottolineato Margiotta, che non ha mancati di evidenziare le difficoltà rispetto all'obiettivo di mettere subito a terra gli investimenti. «Con le deroghe del Dl Semplificazioni abbiamo esteso il modello Genova a tutte le grandi opere , ma nessuno lo usa», ha detto Margiotta, che ha ricordato come il Porta Pia abbia diramato nei giorni scorsi due circolari per spingere le stazioni appaltanti a usare le scorciatorie normative per accelerare gli appalti. Una punzecchiatura è stata rivolta anche alle imprese. «Nelle ultime settimane - ha aggiunto il sottosegretario - sono uscite diverse maxi-gare sia ferroviarie e stradali per un valore di qualche miliardo. Peccato che anche le grandi aziende ora lamentano di non riuscire a prepararle tutte se concentrate in così poco tempo» .

Al centro dell'incontro uno studio presentato dal Cresme che ha messo in evidenza i diversi modelli usati in Europa negli Usa per garantire qualità delle opere pubbliche attraverso la qualificazione delle imprese. Si è tornato è tornati a parlare di rating di impresa e di qualificazione delle stazioni appaltanti. Due pilasti della riforma del codice appalti del 2016 finiti su un binario morto. «Giusto parlare di qualificazione ma prima bisogna chiarire qual è il mercato di riferimento», ha attaccato il vicepresidente del'Ance Edoardo Bianchi. «Abbiamo verificato che negli ultimi 26 anni le norme sui lavori pubblici sono state modificate al ritmo di una volta ogni mese e mezzo. Dopo i decreti Sblocca-cantieri e Semplificazioni il codice è saltato. Dire che abbiamo regole "pirotecniche" è un eufemismo. Viviamo il paradosso per cui Anas e Rfi, pur appartenendo alla stessa "famiglia", applicano norme radicalmente diverse, per esempio, sul subappalto. Per quale tipo di mercato si chiede alle imprese di qualificarsi?».

Dalle imprese di servizi è arrivata la richiesta di ripensare il codice, mettendo mano a un algge quadro sui servizi. «Le norme sugli appalti sono ancora troppo "lavorocentiche" - ha detto Lorenzo Mattioli, presidente di Confindustria Servizi Hcfs - il Recovery plan si deve aprire a un progetto per i servizi, capace di cogliere la specificità di questo mondo, che con la pandemia si è preso cura del Paese». Mattioli ha citato uno studio, sempre di matrice Cresme, secondo cui «in Italia ammontano a 2 miliardi i metri quadrati di edifici non residenziali da sanificare, con una spesa valutata in almeno 2,5 miliardi».

Dagli enti locali arriva l'invito a non toccare subito le norme, ma ad attuare l'impianto già esistente e a investire sulle Pa. «A creare problemi alla spesa dei Comuni - ha concluso Pierciro Galeone, direttore dell'Ifel - non è stato il codice appalti, ma la riduzione del personale che negli anni della crisi è arrivata a ounte del 25-30% negli uffici tecnici».

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