Appalti

Compensazione prezzi, il calcolo deve essere riferito all'effettivo costo aggiuntivo sostenuto dall'impresa

Il Consiglio di Stato esclude la tesi del calcolo «astratto» e automatico. Nessun obbligo per il Rup di chiedere la documentazione all'operatore economico

di Massimo Frontera

Per ottenere una compensazione del maggior prezzo sostenuto rispetto all'offerta, l'operatore economico deve dimostrare, con fatture o altri mezzi idonei, di avere «effettivamente speso» per i materiali una cifra maggiore rispetto a quella preventivata con l'offerta. Lo ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza pubblicata il 9 gennaio scorso (n.278/2023). Il Consiglio di Stato afferma inoltre che non spetta al Rup chiedere all'impresa la documentazione necessaria a dimostrare gli scostamenti dei prezzi sostenuti dall'impresa, ma è a quest'ultima che spetta di individuare e presentare tale idonea documentazione.

Va subito precisato che la controversia è relativa a fatti ampiamente precedenti al meccanismo di compensazione e revisione prezzi introdotto dal legislatore dopo la pandemia. I fatti riguardano lavori svolti negli anni 2008-2009 nell'ambito di un appalto bandito in Sardegna dal ministero della Difesa. Il quadro normativo di riferimento è quello definito dal Dl 162/2008, emanato a seguito di un forte incremento dei prezzi, che ha previsto una compensazione "straordinaria" rispetto a quella definita dall'allora vigente articolo 133 del Dlgs 163/2006. Compensazione che viene «determinata applicando alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori nell'anno 2008 le variazioni in aumento o in diminuzione dei relativi prezzi rilevate dal decreto ministeriale di cui al comma 1 con riferimento alla data dell'offerta, eccedenti l'8 per cento se riferite esclusivamente all'anno 2008 ed eccedenti il 10 per cento complessivo se riferite a più anni».

Nel caso specifico, l'impresa ha presentato alla committenza un conto di circa 113mila euro di extracosti. La stazione appaltante, dopo accertamenti eseguiti su una serie di documenti richiesti all'operatore economico, ha infine riconosciuto valida solo una fattura di neanche 700 euro, dichiarando inidonea la quasi totalità della documentazione. Dalla lettura della sentenza del Tar Sardegna (n.835/2015) si ricava che alcune dichiarazioni di ditte fornitrici non erano suffragate da fatture emesse e le altre fatture riguardavano materiali acquistati per altri cantieri o non avevano l'indicazione di un cantiere.

L'operatore economico ricorre al Tar Sardegna proponendo al giudice l'interpretazione delle norma secondo cui la compensazione debba essere riconosciuta «in termini "astratti" o invece in riferimento a "parametri concreti"». «Nel primo caso - si legge nella sentenza del Tar - il confronto dovrebbe essere effettuato tra il prezzo rilevato (con DM) nell'anno di presentazione dell'offerta e quello rilevato (con DM) nell'anno di contabilizzazione; invece, nel secondo caso, andrebbe preso in considerazione il "prezzo formulato nell'offerta" in raffronto a quanto "effettivamente speso" in più dall'appaltatore (rispetto alle previsioni iniziali) e documentato con le fatture d'acquisto dei materiali». Nel primo caso, inoltre, la compensazione non avrebbe richiesto la presentazione di alcuna documentazione a corredo dell'istanza. Su questo punto, sia il Tar Sardegna che il Consiglio di Stato concordano su una interpretazione della compensazione riferita alla effettivo maggior costo sostenuto, e dunque contabilizzato e verificabile. «La norma - spiegano i giudici della Quarta Sezione di Palazzo Spada - è intesa non a riconoscere una sorta di finanziamento a fondo perduto, come sarebbe se la compensazione venisse riconosciuta a prescindere da un pregiudizio concreto subito dall'appaltatore, ma a ristorare quest'ultimo da perdite effettivamente subite».

Nel ricorso (e in appello), l'operatore economico ha sostenuto inoltre che, nel caso la documentazione si ritenesse comunque necessaria, «il responsabile di procedimento la avrebbe dovuta richiedere di sua iniziativa». Anche questa tesi viene respinta, sia dal primo che dal secondo giudice. L'argomentazione, premette Palazzo Spada, non è condivisibile «per ragioni logiche, prima che giuridiche». E spiega: «La documentazione contabile di un'impresa, come è del tutto ovvio, è nella disponibilità dell'impresa stessa, e non dell'amministrazione che con l'impresa abbia concluso un qualche contratto. È poi solo l'impresa interessata ad ottenere la compensazione a poter sapere quale sia la documentazione idonea a sostenere la relativa richiesta. Non si comprende quindi quale contenuto effettivo avrebbe potuto avere il preteso onere di acquisirla da parte del responsabile di procedimento».

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