Urbanistica

Superbonus e villette, caccia a un miliardo per la proroga

Il Governo stima le coperture necessarie mentre aumenta il pressing del Parlamento: il conto di un allungamento fino alla fine di giugno potrebbe oscillare tra 300 e 400 milioni al mese

di Giuseppe Latour e Giovanni Parente

Parlamento in pressing e Governo che studia il possibile costo della misura. La proroga del superbonus al 110% per villette e unità indipendenti, dal 31 marzo al 30 giugno, dopo essere entrata nel pacchetto degli emendamenti bipartisan alla legge di conversione del decreto n. 11/2023, in materia di cessione dei crediti, si prepara ad affrontare la sfida decisiva delle coperture.Se, infatti, i partiti sono tutti convinti della necessità di spostare in avanti il termine per le abitazioni che, al 30 settembre scorso, avevano raggiunto almeno il 30% dei lavori realizzati, i tecnici del ministero dell'Economia sono all'opera per stimare il costo esatto della misura. Una quantificazione dalla quale, ovviamente, dipenderà il destino del rinvio.Qualche indicazione, comunque, è già possibile ricavarla dalle statistiche dell'Enea sui lavori di superbonus asseverati negli ultimi mesi. A gennaio 2023 abitazioni unifamiliari e unità indipendenti hanno totalizzato circa un miliardo di euro di investimenti: una spesa che produrrà circa 1,1 miliardi di agevolazioni.

Da aprile questi lavori non resteranno senza sconti fiscali ma, con le regole attuali, avranno a disposizione i cosiddetti "bonus minori": principalmente, l'ecobonus al 50-65% e il sismabonus al 70-80 per cento. Ipotizzando che la spesa resti sui livelli di gennaio per i prossimi mesi (anche se la storia del superbonus ha abituato a continue oscillazioni), utilizzando i bonus minori da aprile si produrrebbero detrazioni totali per circa 700 milioni di euro. Per prorogare la misura, in sostanza, bisognerà colmare il gap tra il livello di agevolazioni garantito dal 110% e quello dei bonus minori. Quindi, siamo nell'ordine dei 400 milioni al mese, che potrebbero scendere nel caso in cui la propensione a effettuare gli investimenti, nei prossimi mesi, vada a ridursi. Quindi, con una forbice tra i 300 e i 400 milioni al mese, il conto finale potrebbe arrivare fino a un miliardo. E c'è anche da considerare che tutti questi lavori hanno ancora a disposizione cessione del credito e sconto in fattura, dal momento che le loro Cilas sono state depositate ben prima della data fatidica del 16 febbraio 2023.In attesa di definire la partita dell'ennesima proroga, va avanti il lavoro sul fronte dei crediti fiscali incagliati. Ieri in commissione Finanze alla Camera è stato completato il vaglio di ammissibilità dei 309 emendamenti presentati martedì: sono, quindi, 22 le proposte sulle quali non si voterà neppure (fatte salve quelle che saranno ripescate entro oggi).

Tra gli emendamenti ammessi, compaiono proposte di FdI e Forza Italia che tornano sul nodo degli effetti dei sequestri di crediti di imposta. In base alle proposte, «i cessionari in buona fede, estranei a ogni reato» non potranno essere destinatari di provvedimenti di sequestro preventivo, «qualora dimostrino di aver acquisito il credito d'imposta» munendosi di documentazione che provi la bontà della detrazione.Anche sulla spinta delle indicazioni arrivate dalle associazioni di categoria, intanto, il Governo sta verificando i margini per portare avanti l'opera di moral suasion verso le partecipate pubbliche che potrebbero essere coinvolte nell'acquisto di crediti fiscali dalle banche. In questo modo, si libererebbe rapidamente capienza da reimpiegare nell'acquisto di altri crediti fermi, per risolvere finalmente la crisi innescata da cessione e sconto in fattura. Resta difficile da percorrere, invece, la strada dell'utilizzo della leva degli F24 intermediati dagli istituti di credito. Per rendere operativa la procedura, infatti, servono almeno un paio di mesi: tempi incompatibili con l'emergenza in atto. Oltre a questo, potrebbe emergere un problema di cassa: la compensazione negli F24 di una percentuale anche piccola di crediti, pur non portando effetti di alcuni tipo sui saldi finali, comporterebbe una riduzione delle entrate.

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