Appalti

Riforma appalti, buona la partenza: ora attenzione a non appesantire le direttrici del Ddl delega

INTERVENTO.Soprattutto nel Ppp si possono creare le condizioni per far si che gli investitori professionali tornino a investire nel nostro paese

di Antonio Gennari (*)

L'economia italiana è in una fase di forte crescita. L'Ocse stima per il 2021 una crescita del Pil del 5,9% e voci autorevoli del Governo sottolineano la possibilità di superare la soglia del 6%. Nel primo semestre del 2021 l'Eurostat registra un aumento dell'11% del valore aggiunto dell'industria manifatturiera e del 19% l'aumento del valore aggiunto del settore delle costruzioni rispetto allo stesso semestre dell'anno precedente, ben superiore a quanto registrato nei principali paesi europei.

L'Istat stima in + 33,8% l'aumento degli investimenti in costruzioni (al lordo di trasferimenti di proprietà) nel primo semestre 2021 rispetto allo stesso semestre dell'anno precedente. Il Centro Studi dell'Ance stima in + 12,8% la crescita degli investimenti in costruzioni nel secondo trimestre 2021 rispetto all'analogo trimestre pre-pandemia del 2019.Una crescita tumultuosa prevalentemente spinta dagli incentivi fiscali ed è probabile che continui a ritmi elevati quando si produrranno i primi effetti degli investimenti del Pnrr.

Un momento propizio, quindi, per intervenire con riforme strutturali che possano dare un respiro di lungo termine alle tendenze in atto e rendere più competitivo il sistema dell'economia italiana.Una riforma centrale per dare competitività al sistema economico italiano è il disegno di legge delega di riforma complessiva di regolazione dei contratti pubblici, approvato dal Governo Draghi ed attualmente in discussione alla Commissione Lavori pubblici del Senato.

Il testo contiene principi chiari di indirizzo che, una volta approvati dal Parlamento, si dovranno tradurre in decreti legislativi attuativi elaborati dal Governo. Principi molto condivisibili che, se non saranno appesantiti da distinguo e paletti in sede parlamentare, come avvenuto nel passato, possono portare la regolazione di appalti e concessioni in linea con gli standard internazionali e con le Direttive europee in materia. A cominciare dall'indicazione espressa nella lettera a), comma 2 dell'art. 1 del testo «di perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse», che tenta di colmare un divario con gli altri paesi dell'Unione Europea divenuto nel tempo sempre più evidente e penalizzante per l'efficienza del sistema di regolazione in Italia.

È fondamentale allinearci alla regolazione europea nella normativa sugli affidamenti degli appalti e concessioni e sul sistema di controllo di gestione dei contratti sottoscritti, ridando alle stazioni appaltanti autonomia e capacità di scelta nelle procedure da adottare nell'ambito di una normativa d'indirizzo chiara, senza che siano necessarie leggi che regolino dettagliatamente la loro condotta, che legano le mani agli amministratori capaci e diventano un alibi per quelli inefficienti.

Naturalmente in un quadro di riorganizzazione e qualificazione delle stazioni appaltanti, come indicato alla lett. b), comma 2, art. 1 del provvedimento in esame.Così si ritiene opportuna l'indicazione di individuare le ipotesi in cui le stazioni appaltanti possono ricorrere ad automatismi nella valutazione delle offerte e tipizzazione di tali casi (lett. l, comma 2, art. 1), auspicando che si vada verso una riduzione di tali automatismi così come era esplicitamente scritto nella prima bozza del testo.

Nella restituzione del potere di scelta discrezionale tecnica alle amministrazioni, si deve anche contemplare la responsabilità delle scelte che si adottano nell'interesse collettivo. In un contesto normativo che persegua i comportamenti dolosi ma lasci spazio ai comportamenti virtuosi ed efficienti degli amministratori. Molto positivo ed opportuno anche quando indicato alla lett. n), comma 2, art, 1 nella quale si afferma la necessità di procedere alla «razionalizzazione, semplificazione, …, ed estensione delle forme di partenariato pubblico-privato, con particolare riguardo alla finanza di progetto, anche al fine di rendere tali procedure effettivamente attrattive per gli investitori professionali, oltre che per gli operatori del mercato delle opere pubbliche, garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti».

L'attuale regolazione del Ppp in Italia è caratterizzata da limiti e anomalie rispetto agli standard internazionali ed alla direttiva europea sulle concessioni e ha di fatto reso difficile e poco efficiente investire agli investitori istituzionali nel settore delle infrastrutture.Una riforma della regolazione del Ppp può davvero creare le condizioni per far si che gli investitori professionali possano ritornare ad investire nel nostro paese con un effetto moltiplicatore per l'economia italiana anche in vista dei piani di investimento previsti nel Pnrr.

In questo ambito si rende opportuna l'indicazione di creare nella nuova regolazione "un forte incentivo al ricorso a procedure flessibili, quali il dialogo competitivo, il partenariato per l'innovazione e le procedure competitive con negoziazione, per la stipula di contratti pubblici complessi e di lunga durata" (lett. m, comma 2, art. 1). Istituti giuridici già presenti nella normativa attuale ma di fatto ignorati dal sistema amministrativo.Così come appare utile e necessario l'obiettivo di «razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento dei contratti da parte dei concessionari, …"» (lett. s, comma 2, art.1), che si è impantanata nell'inapplicabilità dell'art. 177 dell'attuale codice dei contratti pubblici e nell'anomalia rispetto alla disciplina comunitaria dell'art. 164 attualmente vigente, con il risultato di fatto di rendere poco attrattive le operazioni brownfield e greenfield da parte degli investitori istituzionali.

Infine il Ddl delega affronta un tema chiave, poco dibattuto, per rendere efficiente e competitivo il sistema dei contratti pubblici: la qualificazione degli operatori economici.Infatti alla lett. i, comma 2, art.1 del testo si prevede di procedere alla «revisione e semplificazione del sistema di qualificazione generale degli operatori, valorizzando criteri di verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, delle attività effettivamente eseguite e del rispetto della legalità, …».

Un intervento necessario vista la progressiva destrutturazione delle imprese del settore delle costruzioni. Alcuni dati possono dare la dimensione del fenomeno: Il 96% delle imprese di costruzioni si attesta nella fascia fino a 9addetti e l'89,3% delle imprese ha un fatturato annuo fino a 500.000 € e solo lo 0,1% ha un fatturato sopra i 20 milioni (dati Istat 2018).Dati che fotografano le caratteristiche attuali della struttura delle imprese del settore delle costruzioni. Il punto è se tale struttura sia in grado di affrontare la sfida della competitività che il mercato richiede. Naturalmente la struttura del sistema delle imprese di costruzioni è frutto di vari fattori a cominciare dalle regole che governano il mercato ed in particolare la regolazione dei contratti pubblici.

La regolazione finora vigente ha, secondo me, operato come livella nei confronti delle imprese non valorizzando le capacità industriali e competitive delle singole imprese. La concreta applicazione del sistema di qualificazione delle Soa ha prodotto un appiattimento delle caratteristiche delle imprese insieme ai sistemi di gara adottati.Rimane sorprendente che nel passato sia stato richiesto ed ottenuto l'allungamento a 15 anni (15 anni!!!) del certificato Soa per partecipare alle gare pubbliche. Partendo dal presupposto che in 15 anni le imprese siano sempre identiche a sé stesse senza nessuna capacità di migliorare la propria capacità industriale ed organizzativa.

Così come la richiesta di rotazione negli appalti avvenuta di recente è un'altra posizione contro la logica del mercato e la necessaria competizione tra imprese. Se sono un'impresa capace industrialmente e mi aggiudico in modo corretto un contratto di appalto non si capisce perché, in caso di un nuovo bando, si debba "ruotare" a favore di altri operatori meno competitivi. In questo caso nessuna impresa riuscirà mai a crescere industrialmente. È la risposta sbagliata al problema della qualificazione delle imprese. È quindi opportuna una profonda riflessione da parte dei decisori pubblici e dei sistemi di rappresentanza delle imprese perché si rivedano i criteri di qualificazione degli operatori allineandoci anche in questo caso alle esperienze sul tema in vigore negli altri paesi europei, favorendo i processi di integrazione industriale.

Si può quindi affermare che il Ddl delega di riforma dei contratti pubblici sia la strada giusta per rendere più competitivo il nostro sistema economico ed auspicabile che il Parlamento lo approvi senza appesantimenti normativi che nel passato hanno prodotto gravi effetti distorsivi sul mercato. Sarà ovviamente necessario evitare che, come è avvenuto in passato, la decretazione attuativa restringa o contraddica lo spirito di riforma contenuto nel Disegno di legge delega in discussione.

(*) Senior advisor Arpinge Spa

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