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Emergenza rifiuti, a Roma servono 7-8 impianti e il recupero dei ritardi della differenziata

Raccolta differenziata deve salire al 70% (ultimo dato 47% contro il 61,3% nazionale)

di Giorgio Santilli

A metà strada fra emergenza affrontata a colpi di ordinanze e tema centrale della campagna elettorale, i rifiuti a Roma segnano uno dei ritardi più gravi della Capitale rispetto agli standard nazionali di servizi e infrastrutture. Lo fotografa l’ultimo Report di Waste Strategy, il think tank di Althesys sui rifiuti, secondo cui Roma, per rendersi autosufficiente nella gestione e nello smaltimento, dovrebbe portare la raccolta differenziata all’80% e quella dell’organico al 70% mediante una dotazione impiantistica che ad oggi è del tutto assente.

«A livello nazionale - ricorda il Report che è giocato proprio sul confronto fra Capitale e medie nazionali - il 60% degli investimenti delle maggiori utility è stato destinato alla realizzazione di nuovi impianti e al miglioramento di quelli esistenti».

«La destinazione dei rifiuti - rileva l’economista Alessandro Marangoni a capo di WAS Strategy - rimane critica, basata prevalentemente sullo smaltimento rispetto al riciclo o sull’export verso altre regioni o l’estero, come ricorda la cronaca. Ma da molti anni si vive alla giornata, senza seria pianificazione della gestione, salvo proclami di buone intenzioni da parte delle varie amministrazioni che si sono succedute. Bisogna andare oltre le dichiarazioni di principio e ragionare seriamente sui numeri, che, seppur approssimati, sono molto chiari».

Un waste management secondo standard efficienti richiederebbe per Roma «almeno 2-3 impianti di trattamento dell’organico di dimensioni medio-grandi, cinque impianti di selezione della differenziata, oltre a un termovalorizzatore per i residui il cui riciclo non è sostenibile». Per essere autosufficiente, Roma «dovrebbe dotarsi di nuova capacità di gestione della frazione organica (compostaggio o digestione anaerobica) tra le 200mila e le 250mila tonnellate/anno e di impiantistica aggiuntiva per la selezione dei materiali della raccolta differenziata per 500mila tonnellate/anno». Quanto ai residui non riciclabili, «necessitano di capacità di termovalorizzazione per 350-400mila tonnellate/anno». Un po’ meno di quelli di Milano, Brescia o Napoli (Acerra), «ma - avverte lo studio - a patto che si raggiungano davvero i livelli di differenziata ipotizzati sopra».

Roma produce oltre 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e sconta un livello di raccolta differenziata inferiore alla media nazionale (47% contro 61% nel 2019), lontanissima dai migliori (90%). Progredisce più lentamente del resto d’Italia: la differenziata in un quinquennio è passata dal 40% al 47% mentre il Paese nel suo complesso passava dal 47,5% al 61,3% (compresi alcuni gravi ritardi al Sud).

La città è molto lontana dalla situazione nazionale. Secondo l’ultimo Was Report, nel 2019 le maggiori 230 aziende del waste management (raccolta, trattamento, smaltimento e selezione rifiuti urbani) hanno registrato un valore di produzione pari a 11,7 miliardi di euro, con aumento dei rifiuti gestiti (+6,4%) e degli investimenti (+4,1%)sul 2018. «Le Top 120 pubbliche e private (56% dei Comuni, 70% degli abitanti, 76% della raccolta) hanno investito il 5,7% del loro valore di produzione, mezzo punto in più rispetto all’anno precedente». Ancora maggiore è l’incidenza per le aziende di trattamento e smaltimento, che crescono del 12,5%.

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