Imprese

Costruzioni, l'obbligo di iscrizione alla Cassa edile dipende dall'attività svolta

Il tribunale di Campobasso si allinea alla Cassazione

di Massimo Frontera

Il contratto di lavoro diverso da quello nazionale dell'edilizia non esime l'impresa dall'obbligo di versare i contributi alla Cassa edile di competenza territoriale. Lo affermano due recenti sentenze del giudice (monocratico) del lavoro del Tribunale di Campobasso. IL cuore della questione - valorizzato dal giudice e affermato dalla Corte di Cassazione in una pronuncia di due anni fa - è che «l'obbligo di iscrizione alla Cassa edile non deriva dalla adesione ad un Ccnl piuttosto che ad un altro ma dall'oggettivo svolgimento di attività rientrante nel settore edile».

La prima sentenza
La prima sentenza (causa n.1192/20) ha una maggiore importanza in quanto l'impresa interessata fa parte dell'associazione Impresa Italia, la quale conta numerose imprese aderenti. Quest'ultima associazione, insieme ad altre associazioni datoriali, ha stipulato (nel 2014, rinnovandolo nel 2018) con varie sigle sindacali un "Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle Pmi, delle cooperative del settore edile e affini" che esclude l'adesione al sistema delle casse edili e che di conseguenza prevede espressamente - all'articolo 22 - che il Durc venga richiesto non alle Casse edili ma all'Inps e all'Inail. La tesi è stata contestata dalla Cassa edile, sostenendo, in sostanza, che il rilascio del Durc attiene esclusivamente ai rapporti tra la singola impresa e il soggetto preposto al rilascio; e che l'obbligo di adesione alla Cassa edile discende dall'appartenenza al settore dell'edilizia e non dal tipo di contratto applicato. E che quindi l'adesione al contratto collettivo sottoscritto dall'associazione Impresa Italia, «non esonerava le ditte aderenti a Impresa Italia dall'iscrizione alla Cassa edile». «Il legislatore - ricorda inoltre il giudice del lavoro - ha prescelto il criterio della tipologia tassativa dei datori di lavoro tenuti alla iscrizione alla cassa e che non hanno alcun rilievo, ai fini di tale obbligo, né la vincolatività del contratto collettivo nazionale, per appartenenza alle associazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, nè la spontanea applicazione dello stesso da parte del datore di lavoro».

La seconda sentenza
Nella seconda sentenza (causa n.1500/19) riguarda un'impresa del Molise che opera negli appalti pubblici nel settore degli impianti elettrici e che a un certo punto ha applicato il contratto metalmeccanico sostituendolo al precedente contratto dell'edilizia, cessando unilateralmente il rapporto con la locale Cassa edile. Alle reiterate richieste di quest'ultima di versamento di contributi, versamenti e accantonamenti, l'impresa ha replicato che la Cassa la abbia «illegittimamente assoggettata al settore edilizia, sebbene essa svolga attività riconducibili al settore metalmeccanico, nello specifico si occupa essenzialmente dell'esecuzione di opere specializzate nel settore dell'installazione e manutenzione di impianti elettrici e linee aeree elettriche ovvero di trasformazione e distribuzione della energia elettrica». A dimostrazione di quanto affermato, l'impresa ha esibito le commesse svolte negli anni 2017-2018 nelle lavorazioni riconducibili alla categoria OG10, e «con una valenza limitata dell'attività prettamente edile». Conseguentemente, come si diceva, l'azienda, nel dicembre 2017, ha sostituito il contratto nazionale edilizia con il contratto nazionale metalmeccanici. Per tutta risposta la Cassa edile ha accusato l'operatore economico di "dumping contrattuale" sostenendo l'applicazione del contratto dell'edilizia e avviando inoltre una verifica presso i committenti dell'impresa per accertare la reale tipologia dei lavori eseguiti. Non solo. La Cassa edile ha sistematicamente informato le società committenti dell'azienda della «condotta di "dumping contrattuale"», ricordando l'obbligo di iscrizione alla Cassa edile per tutte le imprese che operano negli appalti pubblici e che prevedono anche lavorazioni edili.

Entrando ancora più nel merito, la Cassa edile ha spiegato che le lavorazioni svolte dall'impresa sono rubricate nel contratto dell'edilizia alla categoria «Costruzioni di linee e condotte (messa in opera di palòi tralicci e simili; preparazione di scavi, trincee e opere murarie, con si successivi reinterri ed eventuale ripristino della pavimentazione stradale, compresa la posa in opera di conduttori non in tensione di linee (aeree e sotterranee) elettriche, telegrafiche e telefoniche. -- Installazione di tralicci per antenne radiotelevisive. -- Lavori di scavo e murari, con successivi reinterri ed eventuale rispristino della pavimentazione stradale per la posa in opera delle tubazioni per gas, acqua e poste pneumatiche)». Anche alla luce di una lista dettagliata di lavorazioni e interventi eseguiti dall'impresa, il giudice del lavoro del Tribunale di Campobasso ha confermato che il corretto inquadramento contrattuale nell'edilizia, osservando anche che l'attività edilizia è espressamente indicata nell'oggetto sociale con cui l'impresa è iscritta alla camera di commercio.

Il riscontro tra le attività svolte dall'impresa, descritte nel dettaglio, e quelle ricomprese tra quelle elencate dal contratto collettivo nazionale dell'edilizia rappresenta, secondo i giudici, «l'unica valutazione rilevante al fine di stabilire se la ricorrente debba continuare a essere iscritta alla Cassa edile o meno, non rilevando né la richiesta di diverso inquadramento avanzata all'Inps né l'applicazione ai dipendenti del Ccnl Metalmeccanica (che poi la valutazione della modificazione in peius o in melius non può essere operata con riferimento alle sole voci della Cassa Edile ma riguarda il complesso impianto del Ccnl in tutti gli aspetti retributivi e normativi in favore dei lavoratori)». In conclusione, il giudice dichiara «persistente l'obbligo della ricorrente di iscrizione alla Cassa Edile».

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