Il CommentoAmministratori

Valutare la Pa sul modello universitario good practice

di Michela Arnaboldi e Alberto Scuttari

La presentazione del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” ha riaperto il dibattito, mai del tutto sopito, sull’opportunità (o necessità) di valutare le performance delle amministrazioni pubbliche, e premiarle di conseguenza. Insomma, si è tornato a parlare di valorizzazione del merito nella Pa, con la sottesa indicazione che di fatto in questi anni non si siano mossi passi significativi in questa direzione. Eppure ci sono storie di successo. Un esempio è quello del settore universitario che rappresenta un riferimento per tutta la Pa, perché ha saputo “misurarsi” e sfruttare le informazioni raccolte per ottimizzare i processi amministrativi.

Interviene in questo senso il progetto “Good Practice” che, iniziato sperimentalmente nel 1999, coinvolge oggi 42 direttori generali, 11 ricercatori del Politecnico, più di 150 tecnici-amministrativi da 43 università statali.

L’iniziativa è nata e cresciuta con l’obiettivo di misurare le performance di 53 attività amministrative delle università, identificando un parametro di riferimento per efficacia ed efficienza, così da analizzare e condividere in modo aperto le buone pratiche.

Il progetto ha permesso di conoscere dati fondamentali per una buona gestione: per esempio che il costo dei servizi amministrativi a supporto di ogni studente corrisponde, in media, a 1.350 euro o che i nuovi immatricolati sono più soddisfatti dei servizi amministrativi rispetto ai più “maturi”. Inoltre, i dati mostrano che non esiste un’università migliore in tutte le attività amministrative misurate e confrontate nel tempo.

L’ottima notizia è che, anche grazie a una continua misurazione, crescono l’efficacia e l’efficienza dei servizi amministrativi degli atenei. Dal 2015 al 2019 il giudizio degli utenti è costantemente cresciuto in ogni campo.

Un tale risultato non si ottiene senza fatica. Il confronto tra organizzazioni diverse è un lavoro continuo, basato su un’interazione costante tra chi definisce metodologie e indicatori (nel caso di “Good Practice”, un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano) e chi dovrà usare i dati.

In 20 anni di “Good Practice”, i direttori generali hanno progressivamente ampliato l’uso delle informazioni raccolte, impiegandole per analizzare la gestione, valutare l’esternalizzazione di certi servizi, monitorare le performance.

Oggi questa esperienza è consolidata e testimonia la capacità delle università pubbliche italiane di misurarsi, confrontarsi e agire sui processi. Considerando che le sfide della Pa sono molte e nuove (basti pensare alla transizione digitale) è assai utile poter contare su un pezzo di strada che gli atenei hanno già fatto. Insomma, nel definire le linee operative di riforma del sistema di misurazione e valutazione della performance della Pa non sarà necessario ripartire da zero, potendo guardare anche alle positive esperienze già in corso.