Appalti

Gare, clausole sociali ok solo se compatibili con la libertà di organizzazione dell'impresa

Consiglio di Stato: l'obiettivo di stabilizzazione del personale nel cambio di appalto non deve comportare un sacrificio per il l'azienda subentrante

di Pietro Verna

L'articolo 50 del codice dei contratti pubblici, che prevede che stazioni appaltanti inseriscano specifiche clausole volte a promuovere la stabilità del personale non deve comportare un sacrificio per l'appaltatore subentrante che non sia nelle condizioni economiche ed organizzative per poter impiegare i dipendenti dell'operatore economico uscente. Diversamente opinando si limiterebbe la libertà d'impresa, garantita dall'articolo 41 della Costituzione e dall'articolo 16 delle Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea, senza considerare che sarebbe disatteso il principio affermato dall'articolo 3 delle linee guida dell' Anac n. 13, secondo il quale il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall'esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l'organizzazione definita dal nuovo assuntore.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 18 ottobre 2021, n. 6957, che ha ribaltato la sentenza con la quale il Tar dell'Umbria si era pronunciato sul contenzioso insorto tra il Comune di Perugia e una cooperativa che si era classificata al secondo posto nella gara per l'affidamento triennale del servizio di gestione del sistema bibliotecario comunale.

La pronuncia del Consiglio di Stato
Il Tar aveva sostenuto che il comune doveva escludere la cooperativa risultata aggiudicataria perché quest'ultima aveva dichiarato che avrebbe potuto assorbire un numero di personale inferiore rispetto a quanto previsto dalla clausola sociale di cui agli articoli 13 del disciplinare di gara e 23 del capitolato speciale d'appalto (« l'aggiudicataria [si rende] disponibile al riassorbimento del personale della ditta uscente per un numero di riassunzioni non inferiore al 70% di cui all'elenco fornito dalla Stazione appaltante, ed all'occorrenza ad un riassorbimento maggiore nei limiti di compatibilità con la propria organizzazione aziendale»). Tesi che il massimo organo di giustizia amministrativa ha ritenuto priva di pregio.

I magistrati di Palazzo Spada hanno ribadito l'orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui:

- l'interpretazione della clausola sociale di riassorbimento del personale dell'appaltatore uscente deve avvenire in maniera da non limitare la concorrenza e da renderla compatibile con l'organizzazione di impresa scelta dall'appaltatore subentrante (ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24 luglio 2019 n. 5243; Tar Campania, Salerno, sentenza 2 febbraio 2021, n. 307: «la c.d. clausola sociale […] deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti»);

- l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà di impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto (da ultimo Consiglio di Stato, Sez. III, sentenze: 30 gennaio 2019, n. 750; 29 gennaio 2019, n. 726; 7 gennaio 2019, n. 142, 18 settembre 2018, n. 5444 e 5 maggio 2017, n. 2078);

- l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante in quanto «i lavoratori che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali» (Tar Lazio, Roma, sentenza 12 maggio 2021, n. 5588).

Fermo restando che in senso si è espressa anche la Consulta, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni di leggi regionali che non si limitavano a prevedere il mantenimento in servizio di personale già assunto ma stabilivano in modo automatico e generalizzato l'assunzione a tempo indeterminato del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria dell'appalto (ex multis, Corte costituzionale, sentenza 3 marzo che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 30 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4, recante "Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali", che stabiliva che «la Regione, gli enti, le aziende e le società strumentali della Regione Puglia [dovevano] prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e, in ogni caso, nelle condizioni di contratto per l'affidamento di servizi l'assunzione a tempo indeterminato del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria dell'appalto».

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