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Pnrr, Decaro: «Non abbiamo progetti in ritardo né opere a cui rinunciare»

Il presidente dell’Anci: «Non so a quali piani irrealizzabili si riferisca Fitto, ma certo non riguardano i Comuni. Fermiamo lo scaricabarile, è in gioco la credibilità del Paese»

di Gianni Trovati

«Ma perché tutti parlano dei ritardi dei Comuni? È incomprensibile. Abbiamo a disposizione 40 miliardi, che sono tanti ma valgono il 19% del Pnrr, e abbiamo presentato progetti per 80; i cronoprogrammi non prevedono ancora l’avvio delle opere, e la Corte dei conti che ha elencato i problemi del Piano ha invece elogiato la risposta dei Comuni. Noi ora non abbiamo progetti in ritardo, quindi nemmeno opere a cui rinunciare». Da presidente dell’Anci, il sindaco di Bari Antonio Decaro ha un compito doppiamente delicato nel dibattito che si è infiammato intorno agli inciampi del Recovery italiano: deve respingere gli attacchi esterni, che puntano il dito contro i Comuni, e deve anche gestire il fronte interno, animato da sindaci che chiedono di ottenere più fondi togliendoli ad altri accusati di non riuscire a spendere. Anche per questo chiede di «fermare subito lo scaricabarile perché in gioco c’è la credibilità del Paese in Europa ma anche nei confronti dei cittadini. Pensiamo a come risolvere i problemi, non a come distribuire le colpe».

D’accordo, partiamo da qui. Quali sono le richieste più urgenti, mentre al Senato entra nel vivo l’esame del decreto Pnrr-ter?

Sono tre, ma solo per le prime due servono norme. Bisogna permettere ai Comuni di fare assunzioni a tempo determinato con la prospettiva di una stabilizzazione per una parte di queste persone, che altrimenti non vengono a lavorare da noi. Lo faremmo nel nostro turn over, con soldi nostri, senza chiedere nulla a nessuno. E bisogna cambiare le procedure sulle autorizzazioni con una conferenza decisoria unica in 30 giorni. Non servono poi nuove leggi per semplificare il Regis, che così com’è non funziona.

Le semplificazioni approvate fin qui dunque hanno fallito?

No, sono state importanti ma hanno agito sull’assegnazione delle risorse e sulle gare senza modificare nel profondo gli iter autorizzativi.

Come si spiega questo buco?

Forse non si è riusciti ancora a superare la ritrosia delle tante articolazioni dello Stato che esprimono pareri. Ma io dico: state tranquilli, nel 2027 vi ridiamo tutto il potere, ora però bisogna correre.

Il Codice appalti va nella direzione giusta?

Offre semplificazioni ulteriori. Resta la paura legata alla qualificazione delle stazioni appaltanti, che va gestita in modo attento con un periodo transitorio altrimenti il Pnrr salta davvero. Ho letto di una brutta polemica, poi fortunatamente corretta, da parte dell’Anac: ma i sindaci, che danno l’indirizzo politico e non hanno poteri gestionali diretti sugli appalti, non temono le responsabilità; chiedono solo regole chiare.

La proroga dello scudo erariale pare però tramontare.

Noi non abbiamo mai chiesto misure specifiche, e non vogliamo né immunità né impunità. Ma se abbiamo la responsabilità su 40 miliardi di spesa dobbiamo gestirla con un quadro definito.

I Comuni comunque sono stati identificati da subito come uno degli anelli deboli nella catena del Pnrr, per la carenza di organico, la scarsa forza progettuale e la parcellizzazione del territorio. È un errore collettivo?

Possiamo apparire come il calabrone, che non può volare ma vola. Ma se non si vuol credere al presidente dell’Anci, si creda alle statistiche ufficiali della presidenza del Consiglio e della Corte dei conti, in cui si dice che rispetto al 2017 abbiamo aumentato del 45% la spesa per investimenti, che anche il Sud ha recuperato e che passa dai Comuni il 25% della spesa nazionale in opere pubbliche.

Il Pnrr chiede una forte accelerazione ulteriore.

Ma una parte larga delle misure che interessano i Comuni sono opere complesse, che come accade per esempio agli impianti per la gestione dei rifiuti hanno bisogno di autorizzazioni come Via e Vas. Proprio per questo potremo verificare fra qualche mese il programma per la realizzazione delle opere, dopo i progetti che abbiamo completato in tempo per ottenere le risorse.

Ammetterà che non tutto è andato liscio, e ritardi ci sono stati.

Ma si sono sviluppati soprattutto nei ministeri. L’Istruzione, per esempio, ha accumulato un ritardo di cinque mesi nell’assegnazione delle risorse, e lo stesso è accaduto con il ministero dell’Ambiente per l’economia circolare. Sono problemi maturati a cavallo del cambio di governo, per ragioni amministrative e non politiche. Ma se per esempio il ministero dell’Istruzione impiega cinque mesi per firmare una convenzione, riempiendola peraltro con 28 condizionalità sanzionate con il taglio dei fondi, non può pretendere poi che i Comuni affidino i lavori in due mesi. Non è un caso che alcuni enti abbiano rinunciato. Serve una maggiore condivisione delle responsabilità perché, ripeto, ne va del Paese, non di questo o quel partito né di questo o quel sindaco.

Qualche sindaco, però, comincia a farsi sentire, a partire da Sala a Milano e da Gualtieri a Roma che chiedono di farsi assegnare i fondi dei progetti giudicati «a rischio» evocati dal ministro per il Pnrr Fitto.

No so a quali progetti si riferisca Fitto. Ma non sono opere dei Comuni. Gli unici problemi che ci riguardano sono a Firenze e Venezia, che però sono in anticipo visto che sono già all’aggiudicazione e solo ora emergono dubbi sulla loro ammissibilità. Bisogna ricordare poi che i fondi del Recovery sono stati assegnati per recuperare precisi gap territoriali nelle dotazioni infrastrutturali e nell’offerta di servizi, quindi non si può certo per ipotesi togliere risorse sugli asili nido a chi gli asili non li ha. L’Europa ha dato i soldi a chi si sapeva che ne avesse più bisogno, non a chi si sapeva che avrebbe saputo spenderli subito. Le risorse devono rimanere sullo stesso territorio, magari cambiando il tipo di progetto in caso di ritardi. Ma ad oggi, ribadisco, non esistono dati che indichino chi non ce la fa, per cui è bene che ognuno si concentri sugli investimenti da realizzare nel proprio Comune.

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