Appalti

Accesso totale ai provvedimenti d'invito degli appaltatori per il controllo sulle scelte del Rup

di Stefano Usai

É legittima la richiesta di accesso agli atti ed ai provvedimenti di invito degli appaltatori nelle procedure semplificate disciplinate dall'articolo 36 del Codice presentata da chi rivesta la qualità di operatore economico del settore e intenda «verificare che gli affidamenti non siano avvenuti in spregio ai generali principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e rotazione». In questi termini si è espresso il Tar Abruzzo, Pescara, sezione I, con la sentenza n. 162/2020

La vicenda
La ricorrente ha presentato richiesta di accesso, nella forma della visione ed estrazione di copia di atti, in relazione a vari provvedimenti preliminari. Lo scopo era quello di comprendere le dinamiche utilizzate dai responsabili unici nella «individuazione degli operatori economici da invitare a ciascuna delle procedure indette, e degli inviti spediti a ciascuno degli operatori economici in relazione a ciascuna procedura».
L'ambito operativo inciso dalla richiesta è quello disegnato dall'articolo 36 del Codice che, nei limiti di una cornice normativa, lascia comunque ampio margine al Rup su come strutturare le procedure semplificate a invito (o, nell'ambito dei 40mila euro, di procedere con l'affidamento diretto).
L'istanza è stata respinta dal dirigente/responsabile del servizio con la sottolineatura che si trattava di richiesta generica priva di legittimazione visto che la possibilità di ricorrere in giudizio, ovviamente, risultava impedita dal decorso dei termini.

La sentenza
Come si può intuire, soprattutto dopo la sentenza in Adunanza Plenaria n. 10/202 (che ha ammesso l'accesso civico generalizzato agli atti della fase pubblicistica ed esecutiva dell'appalto), il giudice è stato persuaso dalle argomentazioni del ricorrente. La richiesta, si legge nella sentenza, non può essere definita priva di legittimazione visto che l'impresa, in qualità di operatore economico del settore, ha inteso «verificare che gli affidamenti non siano avvenuti in spregio ai generali principi di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e rotazione». Inoltre, lo scopo della tutela in giudizio rappresenta solo una delle opzioni che possono costituire "titolo" per l'ostensione.
In realtà, il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un «autonomo diritto all'informazione» rappresentando quindi esso stesso un «bene alla vita accordato per la tutela nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine e, dunque, non necessariamente ed esclusivamente in correlazione alla tutela giurisdizionale di diritti ed interessi giuridicamente rilevanti».
L'istanza può trovare legittimazione anche nel fine «di assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa; tale diritto all'informazione, oltre ad essere funzionale alla tutela giurisdizionale, consente agli amministrati di orientare i propri comportamenti sul piano sostanziale per curare o difendere i loro interessi giuridici, con l'ulteriore conseguenza che il diritto stesso può essere esercitato in connessione ad un interesse giuridicamente rilevante, anche se non sia ancora attuale un giudizio nel cui corso debbano essere utilizzati gli atti così acquisiti».
Inoltre, il ricorso in giudizio può essere finalizzato non solo a ottenere giustizia, per così dire, immediata con l'annullamento della procedura e l'eventuale subentro ma anche a ottenere confermata una pretesa risarcitoria.
Non è da ritenersi corretta la definizione dell'istanza come massiva e generica visto che la stessa non aveva ad oggetto tutti gli atti e i documenti degli affidamenti sopra e sotto la soglia di 40.000,00 euro, «ma solo gli atti e i provvedimenti preliminari, e comunque non può dubitarsi dell'interesse e della legittimazione della ricorrente quale operatore del settore alla verifica di eventuali infrazioni».
Da ultimo, ed era inevitabile, il riferimento del giudice alla sentenza in Adunanza Plenaria n. 10/2020 che ha ravvisato il dovere della Pa di interpretare la richiesta di accesso che non risulti «motivata con riferimento ad una disciplina specifica in materia di accesso» con conseguente obbligo di rispondere, «sulla sussistenza o meno dei presupposti dell'una o dell'altra forma di accesso, valutando sia l'interesse dell'istante (…), sia l'interesse uti civis nei limiti del c.d. public interest test».

La sentenza del Tar Abruzzo n. 162/2020

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©