Imprese

Anche la Cina vuole giocare la grande partita della ricostruzione dell'Ucraina

La suddivisione in aree non funziona. Il conto dei danni per il governo di Kiev supera i 700 miliardi di dollari. Restano senza risposta le domande: chi pagherà la ricostruzione? E per cosa?

di Roberto Bongiorni

Da mesi corre voce che le società francesi e tedesche, forti del concreto sostegno dei loro rispettivi governi, siano in vantaggio. Le loro delegazioni continuano a far spola con Leopoli, Kiev, Odessa, Cherniv. Ma è tutta l'Ucraina ad essere in fermento. Oltre 15 aziende danesi hanno già visitato Mykolaiv, la città portuale simbolo della resistenza. Imprese sudcoreane si sono viste in altre località accanto a produttori austriaci di legname. Imprese lettoni specializzate in coperture. E gruppi turchi che operano nell'edilizia popolare. In un disordinato melting pot imprenditoriale migliaia di aziende in tutto il mondo si stanno preparando per partecipare al business del secolo. Eppure la più grande ricostruzione dalla Seconda Guerra mondiale si sta rivelando un processo molto complesso ancor prima di essere avviato. Per una serie di ragioni. Si sta pianificando di ricostruire senza sapere quando la guerra finirà, come finirà e dove. E, soprattutto, restano in attesa di una risposta due domande imprescindibili: Chi pagherà la ricostruzione? E per cosa? I francesi a Odessa. I britannici a Kiev. I tedeschi a Cherniv. Agli italiani una regione del Donbass in gran parte ancora sotto occupazione russa.

Lo scenario che si era prefigurato alcuni mesi fa , ovvero una suddivisione del territorio in aree da ricostruire da affidare a singoli Paesi, sembra aver perso la sua validità. «Non è fattibile – spiega da Odessa una fonte informata sul processo di ricostruzione -Non si può ricostruire un Paese, regione per regione. Vi sono progetti infrastrutturali che attraversano il Paese e richiedono le stesse forniture, gli stessi tempi, gli stessi standard. La suddivisione per regioni è in buona parte superata» . Quanto costerà la ricostruzione nessuno è in grado di dirlo. Il secondo Rapid Damage and Needs Assessment presentato dalla Banca Mondiale assieme al Governo di Kiev, alla Commissione Ue valuta i danni arrecati finora (eslcludendo le zone ancora occupate dai russi) a 411 miliardi di dollari. Il conto si basa sulla distruzione causata nel Paese nel primo anno di guerra, quindi fino al 24 febbraio 2023. Le esigenze finanziarie per rimettere in piedi l'Ucraina sono pari a 2,6 volte il Pil nazionale nel 2021. Le stime del Governo Ucraino sono invece superiori ai 700 miliardi di dollari. I danni diretti a edifici e infrastrutture ammontano a oltre 135 miliardi di dollari, divisi tra abitazioni (37%), trasporti (26%), energia (8%), commercio e industria (8%) e agricoltura (6%). L'aumento maggiore si è registrato nell'energia, dove i danni sono stati più di cinque volte maggiori rispetto al giugno del 2022. Agli occhi di Kiev la ricostruzione si deve articolare in tre diverse fasi.

All'inizio di aprile, il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal, ha affermato che è già in preparazione un piano per il rinnovamento dell'Ucraina, denominato U-24, e che sarà realizzato in tre fasi. La prima fase prevede il restauro temporaneo di oggetti distrutti, come ponti e sistemi di supporto vitale. La seconda è una rapida ripresa dopo la fine delle ostilità, fase che include il ripristino delle forniture di acqua ed elettricità nei territori distrutti. La terza fase sarà, come precisa il governo, «un vero e proprio rinnovamento delle città, delle infrastrutture e del Paese nel suo insieme». La grande domanda resta ancora la stessa . Chi pagherà? E per cosa pagherà? Fino ad ora vi sono quattro grandi player. Gli Stati Uniti, perlopiù attraverso la Banca mondiale e l'international finance corporation, l'Ue attraverso la Bers e la Bei, il Regno Unito e il Giappone con il suo fondo.Per diverse ragioni l'Europa si è candidata a trainare questo storico processo di ricostruzione di un Paese destinato a divenire suo membro.

La maggior parte del conto sarà inizialmente a carico di Bruxelles , che sta lavorando a un fondo per la ricostruzione modellato sul fondo di ripresa dal Covid-19. Sebbene non sia chiaro quanto verrà fornito attraverso prestiti e sovvenzioni, il blocco ha già fornito 600 milioni di euro in prestiti agevolati dall'inizio della guerra e sta lavorando all'approvazione di altri 600 milioni.Gli Stati donatori non daranno direttamente il denaro per la ricostruzione in mano agli ucraini. E vogliono conservare la sua tracciabilità . In questo colossale business sta tuttavia venendo alla luce come anche Paesi che non hanno condannato l'invasione della Russia possano essere coinvolti. È il caso della Cina. Il Governo di Kiev ha sempre mantenuto un atteggiamento di prudente apertura. Non può, e non vuole, fare a meno di Pechino. Importantissimo partner commerciale che aveva in cantiere diversi progetti in Ucraina. Come l'ammodernamento delle miniere di carbone del Donbass e nuove reti per l'efficienza energetica. Certo, questo discorso potrebbe valere nel caso in cui si aprisse la possibilità alla società cinesi di partecipare agli appalti della ricostruzione.

«Sospettiamo che Europa e Stati Uniti stiano studiando strumenti per impedire questo scenario», continua la fonte da Kiev. In giugno dovrebbe essere diffuso un nuovo studio della Banca mondiale che darà più indicazioni. Ma per ora sta emergendo una nuova realtà: ciò che attende l'Ucraina non è una ricostruzione, piuttosto una costruzione. Molte delle grandi infrastrutture danneggiate dalla guerra risalgono ai tempi dell'Unione Sovietica. Non si tratta, dunque, di riparare la terza rete ferroviaria d'Europa. È troppo vecchia, ha uno scartamento diverso rispetto agli standard europei. È più plausibile pensare a nuove ferrovie, fino all'alta velocità, ideale per un Paese così vasto e pianeggiante. Occorre costruire nuovi aeroporti, realizzare quei depuratori di cui le città non erano dotate, mettere in piedi sistemi di trattamento delle acque. E così via. La ricostruzione dell'Ucraina potrebbe quindi rappresentare l'occasione per realizzare progetti infrastrutturali capaci di dare un impulso alla crescita e integrare il Paese nel mercato globale. Anche per l'Europa, che si accollerà la maggior parte dei costi, si presenterà un'opportunità unica, forse irripetibile. Indirizzare la ricostruzione per renderla anche un banco di prova e un modello di sviluppo sostenibile.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©