Urbanistica

Anche la scala esterna deve rispettare le distanze tra edifici (e no, non è una pertinenza)

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso di un proprietario, bocciando anche l'idea che ild ecorso del tempo possa di per sè sanare l'abuso

di Ivana Consolo

Spesso si tende a qualificare erroneamente gli interventi edilizi che si pongono in essere, dando ad esempio per scontato che, alcune tipologie di manufatti, siano esenti dal rispetto di regole vincolanti. Poniamo il caso di aver realizzato una scala esterna ad un edificio: ci viene da pensare che sia una pertinenza dello stabile; che possa sottrarsi al rispetto delle distanze legali perché è una sorta di estensione del corpo principale dell'edificio; che sia svincolata da permessi edilizi. Se poi scopriamo che qualcuno, in passato, aveva già chiesto un permesso per realizzare una scala, ci viene da pensare che l'opera è già autorizzata, e che se l'amministrazione non si è finora attivata in senso negativo, forse ogni eventuale vizio è stato automaticamente sanato dall'inerzia protrattasi nel tempo. Ebbene, il privato cittadino protagonista del caso che andremo ad esaminare, ha agito esattamente nel modo sin qui illustrato, salvo poi scoprire che la realtà normativa è del tutto differente. Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 6613 del 4 ottobre 2021, ci aiuta a comprendere quali errori non vanno mai commessi quando ci si accinge a realizzare una scala esterna.

La vicenda
Il Comune di Marcianise, disponeva la demolizione di una scala in cemento armato aventi i seguenti requisiti: unica rampa composta da 27 alzate di cm 18 ciascuna, e da 26 pedate di cm 30; dopo le prime 5 alzate, la rampa presentava un pianerottolo di riposo di m 1,0 di profondità; la larghezza della scala era m 1,40, per un'altezza di m 4,30; la scala era posta ad una distanza di m 2,90 dal confine con l'altrui proprietà. Tale opera, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, veniva subordinata dall'amministrazione al previo ottenimento del permesso di costruire, in quanto corpo autonomo in grado di modificare sagoma e prospetto dell'originario edificio. A causa della mancata osservanza delle distanze legali (10 metri), non poteva essere concesso il permesso edilizio, neppure in sanatoria. A realizzare l'opera, era stato il condòmino di uno stabile, che aveva deciso di costruire la scala (insistente nel cortile condominiale) al fine di creare un punto di accesso al primo piano dell'edificio. Con ricorso al Tar, il proprietario si opponeva all'ordine di demolizione del Comune, sostenendo che l'opera fosse già stata assentita anni orsono (permesso richiesto da un altro privato); che comunque fosse opera pertinenziale; che in ogni caso la demolizione non era più praticabile atteso il protrarsi nel tempo dell'atteggiamento inerte dell'amministrazione. Il Tar rigettava il ricorso, ed il privato reiterava ogni sua doglianza dinanzi al Consiglio di Stato.

Pertinenze, distanze, inerzia amministrativa: le risposte del Consiglio di Stato
Investiti della vicenda, i giudici di Palazzo Spada individuano immediatamente gli elementi salienti del caso, e ci forniscono alcuni spunti di pragmatico rilievo. La prima domanda a cui il Consiglio di Stato fornisce risposta è la seguente: la scala esterna all'edificio è una pertinenza? La qualifica di pertinenza urbanistica, è applicabile soltanto ad opere di modesta entità, ed accessorie rispetto ad un'opera principale (quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e similari). Non attiene invece ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale, e non siano coessenziali alla stessa. La scala in cemento armato, di dimensioni significative ad avente una sua funzione ben specifica, non rientra nella nozione di pertinenza, è dunque opera inevitabilmente assoggettata a permesso edilizio.

Chiarita la natura dell'intervento edilizio posto in essere dal ricorrente, il Consiglio di stato passa all'esame dell'osservanza o meno delle distanze legali. Per costante indirizzo giurisprudenziale, le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse soltanto le parti ornamentali, di rifinitura, ed accessorie di limitata entità, ed i cosiddetti sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie, e simili) che sono irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi. Sono rilevanti, invece, anche in virtù del fatto che costituiscono una vera e propria costruzione, le parti aggettanti (quali scale, terrazze, e corpi avanzati), anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie ed in volume) la consistenza del fabbricato. La violazione delle distanze è argomento di per sé sufficiente a supportare il diniego di qualsivoglia sanatoria edilizia.

Infine, da Palazzo Spada ci arriva la risposta ad un ulteriore importante interrogativo: l'inerzia prolungata dell'amministrazione nell'eseguire l'ordinanza di demolizione, può sanare automaticamente il vizio edilizio? Ebbene, secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, non può avere rilievo, ai fini della validità dell'ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e la conclusione dell'iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico, non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo. Tale stessa inerzia, non può neppure radicare un legittimo affidamento in capo al proprietario dell'abuso, che non sia mai stato destinatario di un atto amministrativo favorevole e quindi idoneo ad ingenerare in lui un'aspettativa giuridicamente qualificata e rilevante. Non è in alcun modo concepibile l'idea stessa di connettere al decorso del tempo, ed all'inerzia dell'amministrazione, la sostanziale perdita del potere di contrastare l'abusivismo edilizio, legittimando in qualche misura l'edificazione avvenuta senza titolo.

Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento. In conclusione, richiamandosi a quanto affermato in apertura, si può osservare quanto segue: dietro situazioni apparentemente semplici (realizzazione di una scala esterna), vi possono essere molteplici risvolti (obbligo di permesso edilizio – rispetto delle distanze – impossibilità di sanatoria del vizio), che solo una corretta analisi normativa, associata ad un'attività qualificata di interpretazione giuridica, possono fare emergere in tutta la loro rilevanza concreta.

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