Urbanistica

Case green, seconde case ed edifici storici fuori dalla direttiva Ue

Il testo è ancora in bozza: tra le diverse versioni (la proposta della Commissione e quella emendata dal Parlamento) ci sono molte differenze anche sostanziali

di Giuseppe Latour

Edifici storici o dal particolare valore architettonico. Immobili collocati in aree vincolate o protette. E, soprattutto, unità residenziali che vengano utilizzate per meno di quattro mesi all’anno. Cioè, seconde case.

Non ci sono solo obblighi di riqualificazione nella direttiva europea sulle case green. A leggerlo dal lato delle deroghe, infatti, il documento attualmente in discussione presso il Parlamento europeo contiene anche un ampio capitolo dedicato alle eccezioni, totali o parziali, all’applicazione delle nuove norme.

Il testo è ancora in bozza: quindi, tra le diverse versioni (la proposta della Commissione e quella emendata dal Parlamento) ci sono molte differenze anche sostanziali. E molti altri cambiamenti arriveranno prima che sia possibile studiare un testo definitivo. Ci sono, però, degli elementi comuni a tutte le diverse proposte quando la direttiva parla di deroghe. Gli Stati membri, infatti, potranno decidere di esentare alcune categorie di immobili dai livelli minimi di prestazione energetica richiesti dalla direttiva. Per questi, in sostanza, se il recepimento italiano lo prevederà, non sarà necessario ristrutturare.

Al momento, sono soprattutto tre le categorie di immobili toccati da questa possibile esclusione. La prima è quella degli edifici e dei monumenti sottoposti a tutela: quindi, gli immobili storici o dal particolare valore architettonico sono, ovviamente, fuori dalle ristrutturazioni. La seconda categoria riguarda gli edifici tutelati, perché collocati all’interno di determinate aree. E questa è una definizione (parecchio più ampia) che si adatta a tutti gli immobili collocati in zone vincolate e protette.

L’elenco è lunghissimo e non esiste una stima esatta di quanti siano gli immobili che ricadono in questo perimetro: molti vincoli sono inseriti nel Codice dei beni culturali (Dlgs n. 42/2004) che, ad esempio, protegge aree costiere, territori vicini a fiumi e laghi, zone di montagna, parchi e zone di interesse archeologico. Ma anche i centri storici (dove si stimano poco meno di 170mila edifici residenziali) o le aree dichiarate di notevole interesse pubblico. Non è, però, detto che, in fase di recepimento della direttiva, le aree vincolate saranno tutte escluse.

Ma un peso ancora maggiore potrebbe assumere la terza categoria. Tra le eccezioni, infatti, sono presenti anche gli edifici residenziali usati meno di quattro mesi all’anno o, comunque, per un periodo limitato dell’anno o con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo che risulterebbe dall’utilizzo durante tutto l’anno. Una definizione complicatissima che, però, ha dietro una filosofia molto chiara: tra le priorità non deve esserci la riqualificazione di immobili poco utilizzati che, quindi, consumano poca energia.

Tutte le abitazioni diverse da quelle principali (quindi, le seconde case) ricadono in questa definizione. E, stando alle statistiche dell’agenzia delle Entrate, sono parecchie: si tratta dei cosiddetti «immobili a disposizione», ossia né locati, né utilizzati continuativamente. In Italia sono 5,5 milioni, rispetto a 19,5 milioni di abitazioni principali e a 3,4 milioni di unità in locazione. Va precisato che si tratta di unità immobiliari. Una categoria differente rispetto ai circa 12 milioni di edifici residenziali sui quali, nei giorni scorsi, è stato calcolato l’impatto potenziale della direttiva (40 miliardi ogni anno, secondo le stime dell’Ance, per riqualificare solo il 15% più energivoro).

Ma le eccezioni, per la verità, vanno avanti. Ci sono, infatti, gli edifici di culto. E anche tutte quelle strutture che è possibile considerare temporanee, come uffici di cantiere o stabilimenti balneari. Anche in questi casi la direttiva non avrà nessun impatto; non ci saranno scadenze e nuove classi energetiche.

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