Così il cattivo reclutamento moltiplica gli addii alla Pa
Dopo il reclutamento emergenziale, alle Pa tocca gestire l’inserimento e ridurre al minimo il fenomeno delle dimissioni. Quel che si sta registrando per la prima volta è la rinuncia al posto di lavoro con le dimissioni dopo poche settimane o con la rinuncia al posto, come raccontato lunedì scorso da questo giornale nel caso dell’Inl. Si arriva anche al 30% dei vincitori. Più colpite le sedi del Nord, ma non solo.
Come mai? Certamente possiamo scomodare fenomeni diffusi, comparsi dopo la pandemia come The Great Resignation o l’approccio Yolo (you only live once) che riguarda i più giovani, ma nel caso della PA italiana abbiamo anche altro.
I difetti nei concorsi con 40 quiz sono emblematici di un approccio burocratico che considera il personale come un numero e un costo. Nessuna analisi del mercato del lavoro, nessuna promozione del brand e valorizzazione delle funzioni svolte, nessuna attenzione alle competenze e alle conoscenze hanno trasformato le assunzioni in una delle tante gare pubbliche per beni e servizi. Grande fiducia invece nel fascino del posto fisso. Agli uffici del personale, d’altronde, non è parso vero di potersi liberare della seccatura del reclutamento affidandolo a terzi, come un appalto di pulizie. Il concorsone unico generalista, al quale si poteva accedere con qualsiasi laurea, senza conoscere sede e funzioni, ha portato a reclutare personale spesso poco preparato e soprattutto poco motivato; fatti due conti su stipendio, sede e relativi costi di mobilità e della vita, numero di giornate di lavoro da remoto, carico di lavoro e responsabilità, molti hanno rifiutato. Se in passato moltissimi giovani si trasferivano al Nord per aver vinto un concorso, oggi una generazione «rich of real estate» accetta meno i costi della mobilità e anzi chiede il South Working. Ai difetti storici del pubblico impiego si aggiungono comportamenti più selettivi rispetto alla qualità del lavoro e alla sua conciliabilità con una buona qualità della vita.
D’altronde, si trattava di superare concorsi con una sola prova di 40 quiz, che ammettevano tutte le lauree. Con scarso entusiasmo molti ci hanno provato. All’Inl, da tutti ritenuto importante per la sicurezza del lavoro e la lotta al sommerso, si sono trovati tra i vincitori del concorso per ispettori anche diplomati in conservatorio o laureati in lettere classiche ai quali sarà necessario destinare numerose giornate di formazione per trasformarli in esperti di diritto del lavoro, di sicurezza, ammortizzatori e previdenza. Facile così registrare un picco di abbandoni.
Con un reclutamento pieno di errori era difficile ottenere altro, soprattutto per una PA che non solo non sa che cosa sia l’inserimento o la formazione in ingresso, ma neanche le tecniche di retention. La Pa si dimostra ancora una volta un cattivo datore di lavoro, vecchio e demotivante, (con poche e note eccezioni) ignorando i propri limiti ma soprattutto i cambiamenti nel mercato del lavoro. In mancanza di fattori motivanti, si cerca ormai nella Pa la vicinanza all’abitazione, basse responsabilità e maggiore retribuzione. Con tutti i concorsi in essere, si fa incetta di idoneità fino a quando non si trova il posto fisso migliore.
Ma con la riduzione della popolazione tra 25-34 anni e con il basso tasso di laureati (28% contro il 44% della media Ue), non è con il reclutamento massivo o con politiche retributive flat che potremo trattenere i migliori. Così la Pa potrà costituire al massimo un’esperienza temporanea e di ripiego.