Appalti

Dalle garanzie per gli appalti il rischio di un collo di bottiglia per il Recovery plan

Il Dlgs 50/2016 prevede numerose tutele per garantire gare ed esecuzione dei contratti. Ma la scarsa chiarezza normativa e le condizioni del mercato delle assicurazioni rischiano di ostacolare lo sviluppo delle operazioni più rilevanti

di Velia Maria Leone(*)

Nei suoi recenti discorsi il presidente del Consiglio Mario Draghi, ha incoraggiato gli operatori privati a mettere in campo le loro migliori competenze per contribuire alla ripresa del Paese. Questo stimolo rischia di infrangersi su quello che potrebbe apparire un mero dettaglio esecutivo, prescritto dal Codice dei contratti (il Codice), ossia le garanzie, da prestare in diversi momenti procedurali a tutela della parte pubblica. Le garanzie, infatti, devono essere attivate sin dalla partecipazione degli operatori economici alla procedura di gara, passando per l'aggiudicazione e la conseguente firma del contratto, fino alla fase esecutiva dello stesso, garantendo la serietà dell'offerta presentata attraverso la cauzione (art. 93) e il corretto adempimento delle prestazioni contrattuali (artt. 103 e 104).

Sebbene la ratio di tali disposizioni sia condivisibile, la disciplina del Codice sulle garanzie presenta diverse complicazioni, sia in relazione alle procedure (e ai contratti) d'appalto, sia, a maggior ragione, con riguardo alle concessioni. Ciò in quanto il sistema delle garanzie, concepito, originariamente, per gli appalti di lavori, non è di agevole applicazione per i contratti di durata, in genere, e, in particolare, per le concessioni, in merito alle quali le disposizioni si presentano spesso confuse e sovrapposte.

Chiaro esempio è l'accavallarsi di garanzie previsto, anche per via di rimandi, nell'art. 183 del Codice in materia di "finanza di progetto", laddove alla cauzione provvisoria - da prestarsi già in fase di proposta, per il caso dell'iniziativa privata - segue la garanzia definitiva di cui all'art. 103 del Codice, la quale, però, ha contorni non ben definiti. Infatti, non è chiaro se la stessa debba essere calcolata sull'intero importo contrattuale o solo sull'investimento, né si specifica se questa possa essere svincolata al collaudo dei lavori o debba applicarsi all'intera fase di gestione. Inoltre, sempre ai sensi dell'art. 183, comma 13, si aggiunge la garanzia sulla gestione - da prestare al momento dell'avvio del servizio - che, tuttavia, non è coordinata con la garanzia definitiva: in altre parole, non è chiaro se, tra le due garanzie, vi sia un rapporto di avvicendamento oppure di coesistenza, fino al termine del contratto. Si noti che le aporie logiche della suddetta disciplina - che non sono state affrontate nella nuova versione del modello di convenzione standard adottata dalla Ragioneria Generale dello Stato e dall'Anac, la quale, salomonicamente, si limita (art. 33) a rinviare alla "normativa vigente" - si traducono in difficoltà pratiche per gli operatori economici, nonché in costi non recuperabili.

Al farraginoso sistema del Codice si aggiunge la considerazione che il sistema delle garanzie si incastona in un settore di mercato altamente regolamentato, quale quello assicurativo (o bancario). Sono, infatti, numerosi gli strumenti di soft regulation e policy che intervengono sul tema e che potrebbero, in parte, mitigare i problemi summenzionati. Ad esempio, gli schemi di polizza concernenti il rilascio delle garanzie fideiussorie (Dm 19 gennaio 2018, n. 31 del Mit), stante la loro applicazione obbligatoria (per gli appalti) potrebbero essere meglio adeguati alle specifiche esigenze delle stazioni appaltanti e degli operatori economici. A tal proposito, il Consiglio di Stato (parere della Commissione speciale del 14 giugno 2017 sullo schema di Dm) ha, giustamente, rilevato che tali schemi non tengono conto di tutte le fattispecie che si possano verificare in pratica, ravvisando la necessità che, a seguito di un primo periodo di "rodaggio" - che, oggi, si può ritenere concluso -, si provveda ad assicurare un adeguato coinvolgimento di tutte le categorie interessate, inclusi gli operatori economici partecipanti alle gare, senza, peraltro, esautorare il ruolo regolamentare del Ministero sulla materia.

Inoltre, rispetto all'applicazione automatica degli schemi ministeriali, il Consiglio di Stato ha rilevato l'opportunità di chiarire che la stessa possa estendersi anche alle concessioni, solo nel caso di un chiaro auto-vincolo da parte delle amministrazioni procedenti: dunque, ecco il primo strumento con cui si potrebbe, agevolmente, risolvere alcune incongruenze applicative. Anche se, è lo stesso Codice che, mediante richiami espressi, rinvia alla disciplina generale delle garanzie anche in caso di concessioni, così vanificando i distinguo operati dal Consiglio di Stato e dallo stesso Dm in merito al proprio ambito di applicazione.

Tuttavia, nessuno dei citati strumenti - che mirano a tutelare l'interesse delle amministrazioni ad un'adeguata copertura - è stato in grado di affrontare e porre rimedio a quello che è il vero vulnus del sistema, ossia la difficoltà degli operatori economici nel reperire le garanzie, in questo particolare momento storico. Infatti, alla mancanza di chiarezza normativa, che già rende il percorso di affidamento dei contratti più complesso, allungandone i tempi, si affianca la scarsa disponibilità del mercato delle assicurazioni ad impegnarsi in relazione alla copertura di contratti con una durata medio-lunga e d'importo rilevante, soprattutto se gli stessi sono basati sull'assunzione, in capo all'operatore economico, di un rischio imprenditoriale - o, peggio ancora operativo - pronunciato, come nel caso, appunto, delle concessioni.

In particolare, il settore assicurativo, data l'incertezza dell'economia globale e la debolezza degli operatori nazionali (mancano soggetti nazionali che possano operare da riassicuratori) si trova in difficoltà ad assumere rischi di lungo periodo e di consistente impegno finanziario. La riassicurazione svolge, infatti, un ruolo di stabilizzazione del mercato degli assicuratori, consentendo di parcellizzare il rischio di eventuale scoperti, avendo la funzione di ridurre i rischi e impegni derivanti dai contratti di assicurazione, e, dunque, ottimizzandoli. In mancanza di tale fondamentale funzione (che si è, ulteriormente, aggravata con la recente uscita dall'Unione Europea del Regno Unito, tenuto conto della pluralità di compagnie e intermediari assicurativi ivi presenti, con le prevedibili conseguenze in termini autorizzativi per operatori, ormai, extra Ue), si verifica una situazione paradossale: l'assenza di tutela contro i rischi di fallimento di mercato proprio per quei soggetti che devono, anche, ex lege, assicurare contro i rischi.

Questi fattori determinano un vero e proprio collo di bottiglia, tale da costituire, potenzialmente, un ostacolo determinante per la riuscita degli investimenti privati nel settore pubblico, in grado di pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi di rilancio del Paese, incluso l'impiego efficiente delle risorse del Recovery fund. Il piano complessivo di investimenti nell'infrastrutturazione del Paese non può, infatti, prescindere dall'utilizzo di contratti con durate e importi elevati, ossia proprio quelli per i quali persistono le maggiori difficoltà di reperimento delle garanzie richieste.

La situazione è, viepiù, paradossale in un contesto in cui, per altro verso, la liquidità derivante dal credito è fortemente spinta dalle diverse misure di sostegno pubblico, anche sotto forma di garanzie al credito (si vedano le misure autorizzate sulla base del Quadro temporaneo per le misure di aiuto di stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza Covid-19, recentemente prorogato dalla Commissione europea per tutto il 2021), oltre che per l'effetto dei tassi d'interesse estremamente vantaggiosi. Il risultato è che, sempre più spesso, importanti operazioni di partenariato pubblico privato rischiano di non essere realizzate - o lo sono, ma con tempistiche incongrue - perché gli operatori economici, pur ottenendo la liquidità necessaria per effettuare gli investimenti, faticano a procurarsi le garanzie richieste dal Codice a tutela della controparte pubblica.

Nel contesto delineato, due sono le direttrici su cui è possibile - anzi, è urgente - muoversi se non ci si vuole rassegnare a rinunciare proprio ai progetti di più ampio respiro - ossia, esattamente quelli in cui il Premier auspica che il settore privato intervenga apportando le proprie competenze -, ossia: chiarire e semplificare le norme - senza, per questo, ridurre le necessarie tutele a presidio della spesa pubblica -, eliminandone ambiguità e sovrapposizioni, da un lato, e, dall'altro, approntando gli strumenti per dare il giusto stimolo al mercato, che consenta di superare la situazione di fallimento di mercato descritta.

A tal fine, si potrebbe ipotizzare, ad esempio, uno strumento finanziario di matrice pubblica che abbia come specifico obiettivo l'assicurazione, o la riassicurazione, dei rischi derivanti da contratti pubblici - appalto o concessione -, su base commerciale. Tale strumento non dovrebbe, necessariamente, coinvolgere misure di aiuto di Stato, ma, potrebbe agire "pari passu", ossia sulla base di valutazioni di mercato e a prezzi in linea con lo stesso, senza preclusioni relativamente alla durata e agli importi coinvolti nell'operazione. Per la congetturazione di un simile strumento, si potrebbe fare riferimento - «mutatis mutandis» - ai criteri utilizzati nella «Comunicazione della Commissione sull'applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE all'assicurazione del credito all'esportazione a breve termine», per escludere la presenza di aiuti a favore dell'assicuratore pubblico - ossia che agisce per conto dello Stato -, e delle imprese beneficiarie. Così facendo, l'assicuratore pubblico sarebbe sottoposto alle stesse condizioni regolatorie di qualsiasi assicuratore privato e, dunque, non riceverebbe aiuti per la copertura dei rischi assicurabili sul mercato, ossia rischi economicamente giustificati, accettabili in base a principi di assicurazione sani. Il profilo dello strumento e la selezione dell'operatore a cui affidarlo dovrebbero essere oggetto di specifiche accortezze, ma lo stesso potrebbe costituire un'importante leva per favorire lo sviluppo di operazioni in grado di contribuire efficacemente a recuperare i ritardi del sistema italiano.

La presenza di un sistema di garanzia pubblica potrebbe, infatti, non solo agevolare gli operatori economici e risolvere alcune delle problematiche rappresentate, ma anche stimolare la concorrenza del settore assicurativo e bancario, superandone le difficoltà, con effetti benefici in termini di strumenti disponibili. Tale sistema - se opportunamente congegnato - potrebbe, peraltro, contribuire alla creazione di meccanismi maggiormente flessibili e adattabili alle specifiche esigenze delle diverse fattispecie contrattuali.
In conclusione, premessa la necessità impellente di una sistematizzazione e semplificazione sul tema, il passo ulteriore potrebbe essere quello di ripensare, nell'ambito della panoplia degli strumenti di stimolo all'economia, il ruolo delle garanzie assicurative, così da consentire non solo un migliore accesso al credito, ma anche maggiori possibilità di copertura dei rischi derivanti dai contratti, a tutela delle amministrazioni, e volti a favorire lo sviluppo di progetti più ambiziosi e più efficaci - i "progetti leva" per intenderci - per la favorire la crescita del Paese.

(*) Studio legale Leone&Associati

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