Fisco e contabilità

Debiti fuori bilancio, il riconoscimento ha natura solo ricognitiva dell'arricchimento per l'ente

Non si occupa delle cause di invalidità che affliggono, sotto il profilo civilistico, il contratto

di Corrado Mancini

La disposizione di riconoscimento dei debiti fuori bilancio prevista dall'articolo 194 del testo unico degli enti locali non si occupa delle cause di invalidità che affliggono, sotto il profilo civilistico, il contratto da cui sorge il debito inadempiuto, ma si riferisce esclusivamente alle condizioni in presenza delle quali una spesa disposta in violazione delle regole contabili possa essere ricondotta nella gestione fisiologica del bilancio, per recuperare il profilo di irregolarità contabile inizialmente obliterato. Infatti, l'atto di regolarizzazione contabile (il riconoscimento del debito fuori bilancio) non ha natura provvedimentale, ma solo ricognitiva del presupposto (vale a dire, l'arricchimento per l'ente), ai fini dell'inserimento nel bilancio dell'amministrazione locale del debito irregolarmente assunto con la conseguenza che occorre escludere dal calcolo dell'indennità dovuta all'esecutore di una prestazione resa in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace, perché diversamente si riconnetterebbe all'istituto una natura risarcitoria, estranea alla sua funzione. Queste sono le conclusioni della Corte dei conti sezione giurisdizionale della Puglia, sentenza n. 668/2021.

È vero, sostengono i magistrati pugliesi, che in assenza della forma scritta, richiesta a pena di nullità per i contratti stipulati dalla Pa, gli stessi sono nulli e pertanto improduttivi di effetti giuridici e insuscettibili di sanatoria (oppure sono addirittura inesistenti, perché non si è in presenza di un "contratto", ancorché invalidamente concluso, ma di un comportamento di fatto privo di rilievi di sorta, sul piano giuridico, mancando in radice quell'"accordo" tra le parti, presupposto dall'articolo 1321 del Codice civile anche per il costituirsi di un contratto invalido o non opponibile ai terzi). Tuttavia, non è meno vero che in questa evenienza l'ordinamento consente, a certe condizioni, di regolarizzare la relativa spesa, sotto il profilo squisitamente contabile e finanziario, a tutela degli equilibri di bilancio degli enti locali.

Gli enti locali, in presenza di una prestazione o di una fornitura tale da soddisfare gli interessi di cui sono portatori, nonché dell'utiliter versum, hanno il dovere di assumere come proprio il debito sottostante ancorché mancante dell'atto di impegno, salvo il caso in cui «l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole». L'ente, non è obbligato per la parte non riconoscibile ai sensi dell'articolo 194, comma 1, lettera e), dovendo di questa rispondere direttamente chi ha consentito la fornitura (secondo il chiaro inciso di cui al comma 4 dell'articolo 191 del Tuel). Con la conseguenza che il rapporto obbligatorio intercorre tra terzo e amministratore, funzionario o dipendente solo «per la parte non riconoscibile» dall'ente, per la parte "riconoscibile" (anche se non ancora "riconosciuta" espressamente dall'ente), il terzo non ha azione nei confronti del funzionario e, perciò, può esperire azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione.

Nell'assunzione della propria autonoma decisione l'ente deve, inoltre valutare la potenziale esposizione, in caso di mancato riconoscimento, all'esercizio dell'actio de in rem verso (in via diretta o indiretta), e quindi a eventuali contenziosi, forieri di ulteriori spese a loro volta fonte di potenziali danni erariali.

Ne consegue che a fronte del motivato riconoscimento del debito fuori bilancio, può esservi margine per ravvisare una fattispecie di danno erariale, nelle eventualità in cui l'ente:
(i) riconosca l'utilità di prestazioni non collegate all'esercizio di pubbliche funzioni e di servizi di competenza dell'ente, esorbitando dai limiti del proprio potere discrezionale;
(ii) riconosca il pagamento in relazione a somme cui non corrisponde un "arricchimento" dell'ente (da contrapporre all'impoverimento di un altro soggetto), da intendersi in senso stretto, come precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione (11/9/2008 n. 23385) in relazione all'articolo 2041 del codice civile, ovvero a somme rispetto alle quali non vi sia diritto all'indennizzo del privato, come ad es. l'eventuale lucro cessante da questi ottenibile qualora vi fosse stato il rispetto della legge, le somme per interessi e rivalutazione, l'utile di impresa, le spese giudiziali, i maggiori oneri imputabili al ritardo nei pagamenti eccetera, in considerazione del fatto che in questo caso nessuna utilità e arricchimento può conseguire all'ente, rappresentando i predetti esborsi un ingiustificato danno patrimoniale del quale devono rispondere coloro che con il loro comportamento lo hanno determinato. Occorre escludere, in altri termini, dal calcolo dell'indennità dovuta all'esecutore di una prestazione resa in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace, perché diversamente si riconnetterebbe all'istituto de quo una natura risarcitoria, estranea alla sua funzione.

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