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Edilizia, il rilancio rinviato al 2019 - In salita bandi e permessi di costruire

«Il 2018 non è l’anno delle opere pubbliche. Almeno in termini di investimenti. Lo saranno, sulla base dei dati delle aggiudicazioni, dei bandi di gara e delle potenzialità di spesa, il 2019, il 2020 e il 2021». Lo scrive il Cresme nella sua Relazione congiunturale sul «mercato delle costruzioni 2019» che sarà presentata oggi a Milano. E le opere pubbliche - che nel 2018 farebbero registrare una modesta crescita dell’1,5% composta da un -0,7% della Pa in senso stretto e un +2,8% delle grandi società partecipate - sono lo specchio di un settore che da tempo prova ad accelerare, per recuperare dieci anni di crisi durissima, ma si ferma a una crescita modesta del 2%. E in termini reali manca ancora un 30% per tornare ai livelli di investimento del 2006.

Certo, non mancano i segnali che una nuova fase di mercato - sia sul versante del settore pubblico che delle nuove costruzioni private - potrebbe aprirsi, ma -avverte il Cresme - solo «se il clima non degenera e non si cade nel baratro». Se cioè si ricompone la frattura con l’Unione europea e lo spread scende a livelli più fisiologici, in modo da garantire stabilità e condizioni favorevoli agli investimenti, allora dal settore delle costruzioni può venire un contributo importante per il ritorno alla crescita. La previsione dell’istituto di ricerca parla di un +2,5% a prezzi costanti nel 2019 (+3,2% per le opere pubbliche) e +2,3% per il 2020 (+3,9% per le opere pubbliche).

Le potenzialità di una crescita robusta ci sono e lo ammette la stessa Unione europea se è vero - come sottolinea il Cresme - che dall’European Economic Forecast di Bruxelles, fresco di stampa, arriva una previsione di crescita del 2,6% nel 2019 e addirittura del 4,4% nel 2020. È la previsioni più alta fra tutte quelle elaborate quest’anno dai vari centri di ricerca per il settore. A conferma che i programmi di rilancio degli investimenti presentati dal governo italiano vengono presi sul serio, almeno su questo fronte.

I segnali delle potenzialità di crescita per l’anno prossimo ci sono ma sono sulla carta e sottoposte a troppe condizioni. Marcia la macchina di carta di bandi nelle opere pubbliche e permessi nel settore privato senza che ancora si traducano in mattoni e cantieri. Sul fronte delle nuove abitazioni, per esempio, già quest’anno si è registrato un +3,5% (ma è poca cosa se negli anni della crisi si è perso oltre il 70% degli investimenti in termini reali) mentre i permessi di costruire rilasciati ammontano a +11,3% nel 2017 e +8,7% nel primo trimestre 2018. E sul fronte del «non residenziale» la superficie autorizzata con i permessi è cresciuta rispettivamente del 28,8% e del 53%. Sul campo delle opere pubbliche i bandi per i lavori sono cresciuti del 34%, quelli per le progettazioni del 67% e le aggiudicazioni di lavori dell’83%. Tutta carta, certo, che non si traduce ancora a sufficienza in posti di lavoro, ma prova a segnare il senso del risveglio in un orizzonte sempre ambivalente. La crisi delle imprese - e soprattutto ormai delle grandi imprese - non si ferma e il Rapporto Cresme quantifica in 11,2 miliardi il buco nero di «fatturato massimo perso» nel periodo 2007-2017 con la scomparsa di 110 imprese della classifica top del settore fra cessazioni, liquidazioni, conocrdati o in amministrazione straordinaria. Il dato è una stima massima in quanto per ogni società si sceglie il livello di fatturato più alto nel decennio. In questo universo di crisi in parte arrivate al capolinea, in parte ancora in corso, spiccano i nomi storici da Condotte a Mantovani, da Tecnis a Unieco a Mazzi.

Sul versante dell’offerta la nuova stagione pone anche il tema della «metamorfosi delle costruzioni», che si è vista per esempio nell’uso micro dei bonus fiscali sul risparmio energetico ma non decolla sul fronte macro della riqualificazione urbana. Si aprono finestre interessanti, qua e là, ma la nuova edilizia fa fatica a diventare dominante. Il Cresme ci crede e ritiene che le tre parole-chiave per il rilancio del settore siano sostenibilità (ambientale, sociale, economica), digitalizzazione e automazione. «È una sfida epocale per un settore fortemente tradizionale e conservatore ma con una forte capacità di attivazione occupazionale, che richiede una politica industriale con l’obiettivo di migliorare la qualità del proprio capitale fisso edilizio e infrastrutturale».

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