Amministratori

I costi dello Stato: la macchina dei ministeri vale 100 miliardi

Dalle utenze alla carta passando per le polizze assicurative, i supporti tecnologici, i leasing, le manutenzioni, la gestione di mezzi mobili, le consulenze e le retribuzioni dei dipendenti: supera i 100 miliardi (101,7 miliardi per la precisione) il “costo proprio” della delicata e controversa “macchina burocratica”, al netto delle spese dirette per corpi di polizia e vigili del fuoco, che il Parlamento e il Governo figli della tornata elettorale di ieri saranno chiamati a far funzionare nel 2018. Poco più di 91,7 miliardi sono necessari per l’attività interna dei ministeri con portafoglio (esclusa quella di molte strutture periferiche). Altri 10 miliardi servono quest’anno, attraverso il meccanismo dei trasferimenti dal ministero dell’Economia, per garantire l’operatività della Presidenza del Consiglio e dei dicasteri senza portafoglio, con annessa gestione dei fondi collegati (1,12 miliardi), delle Camere (1,74 miliardi) e di altre amministrazioni centrali: dalle Agenzie fiscali e dalla Corte dei conti fino al Cnel (7,12 milioni) ancora in vita dopo essere giunto a un passo dal definitivo pensionamento.

Una macchina complessa e costosa
Il Governo che, sulla base della maggioranza espressa dal nuovo Parlamento e dell’incarico conferito dal capo dello Stato, succederà (in tempi probabilmente non rapidi) all’esecutivo Gentiloni sarà chiamato a gestire una macchina complessa e costosa, anche se per molte voci meno che in passato grazie al processo di spending review e alle numerose manovre susseguitesi negli ultimi anni. Ma il costo del personale per i soli dicasteri resta consistente: è previsto (neanche tenendo conto in toto degli effetti degli ultimi rinnovi contrattuali che “al netto” pesano per circa 1,2 miliardi) in 78,8 miliardi, con un’incidenza dell’85,9% sui “costi propri” (di funzionamento) delle amministrazioni centrali e del 14,62% sul totale generale dello Stato. Che, secondo il budget economico previsionale 2018-2010 elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato tenendo conto dell’ultima legge di bilancio, supererebbe i 439 miliardi compresi i costi dislocati (trasferimenti) e i costi di gestione ma al netto dei fondi da assegnare e degli oneri finanziari (gli interessi sul debito).
Considerando anche queste due voci, l’asticella sale a 539,1 miliardi per il 2018 (su un “fronte” di spesa complessivo esteso nel bilancio statale per oltre 850 miliardi) per poi scendere a 537,4 miliardi nel 2019 e risalire a 545,2 miliardi nel 2020.

Il costo del personale
A evidenziare «l’altissima incidenza del costo del personale» (circa l’86% dei “costi propri”) è la stessa Ragioneria. Per quest’anno le retribuzioni nei ministeri sono stimate in 76,6 miliardi, ma “ante” recepimento completo degli accordi contrattuali: più o meno allo stesso livello della previsione dei costi collegati agli interessi sul debito pubblico (78,4 miliardi). La Rgs fa notare che proprio l’incidenza («elevata») degli interessi nel 2018 è pari al 14,56% del totale generale ed è di poco inferiore ai “costi propri” delle amministrazioni centrali (17,01% del totale). I tecnici del Mef si soffermano anche sul peso consistente dei trasferimenti ad altre amministrazioni (nel 2018 il 64,42% del totale) che quest’anno dovrebbero raggiungere i 307,6 miliardi, 123,3 dei quali ad amministrazioni locali (quasi 111 miliardi alle Regioni), 122,1 agli enti di previdenza, poco più di 17 miliardi sotto la voce famiglie e istituzioni sociali private e 7,3 miliardi alle università statali. Le risorse destinate dai ministeri ad altre strutture centrali per il loro funzionamento risultano inferiori ai trasferimenti correnti all’estero: 19,2 miliardi di cui 17,85 miliardi sotto forma di fondi italiani al bilancio Ue.

I costi di funzionamento
Complessivamente i costi di funzionamento dei 13 ministeri con portafoglio risultano leggermente inferiori a quelli del “budget rivisto 2017” (poco più di 92 miliardi), ma in crescita rispetto all’inizio della legislatura appena conclusa(88,4 miliardi nel 2014, 90,7 nel 2015, 91,7 nel 2016). A pesare maggiormente sono quattro dicasteri: Istruzione (44,4 miliardi), Difesa (18,1 miliardi), Interno (9,2 miliardi) e Economia (8,2 miliardi). Proprio il dicastero di via XX settembre è quello che contribuisce maggiormente (con quasi 600 milioni l’anno) al piano di tagli ai ministeri previsto dall’ultima manovra (oltre un miliardo l’anno nel triennio) per alimentare il processo di spending review, che con la legge di bilancio per il 2018, anche attraverso la riduzione e la riprogrammazione di alcuni trasferimenti, ha garantito circa 4,5 miliardi “lordi”. Risparmi che sono andati ad aggiungersi ai quasi 30 miliardi di capitoli di spesa eliminati o ridotti tra il 2014 e il 2017, come indicato nell’ultima relazione del commissario Yoram Gutgeld. In tutto quasi 35 miliardi in 5 anni che in gran parte sono però serviti per coprire le misure espansive varate dai Governi Renzi e Gentiloni (dagli 80 euro a quelle per l’occupazione).
In termini assoluti la spesa ha notevolmente rallentato la sua corsa, soprattutto in rapporto al Pil, ma non ha fatto registrare una vera frenata. Anche dopo la stretta dell’ultima manovra le spese nette sono previste in aumento di circa 2 miliardi nel 2018, 7,6 nel 2019 e 4,8 miliardi nel 2020. E questa è una delle incognite con cui dovrà fare i conti il prossimo Governo, che sarà chiamato a decidere anche le sorti della nuova fase di spending review su cui punterà i riflettori Bruxelles, da dove già in primavera potrebbe partire la richiesta di una manovrina correttiva.

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