Appalti

Il Consiglio di Stato risolve il caso delle offerte discordanti: vince sempre il ribasso espresso in lettere

di Mauro Salerno

In caso di contrasto tra la percentuale di ribasso espressa in numeri e quella in lettere la stazione appaltante deve tenere conto di quest’ultima. Arriva ancora dal Consiglio di Stato, riunito in Adunanza plenaria (sentenza n.10/2015) , la soluzione a uno dei tanti casi pratici che tengono in scacco il mondo degli appalti e dividono la giurisprudenza. La prova che una regolazione flessibile (e autorevole) capace di rispondere rapidamente alle sollecitazioni del mercato è una soluzione preferibile a quella di tentare di imbrigliare tutti i possibili casi attraverso norme di legge, salvo lasciare poi ai giudici - quelli di ultima istanza, con sentenze che arrivano dopo anni di orientamenti contrastanti - il compito di interpretare e rendere operative le norme.

Con la sentenza appena pubblicata, i giudici chiariscono una volta per tutte una questione se si vuole “spicciola” ma che è stata al centro di moltissimi casi di contenzioso tra imprese e amministrazioni. Capita spesso che, nello scrivere le offerte al massimo ribasso, la percentuale di sconto espressa in numeri risulti differente da quella espressa in lettere, per un mero errore materiale. È successo anche nel caso portato all’attenzione del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, cioè nella formazione dedicata a risolvere le questioni più delicate offrendo a operatori e Pa un indirizzo unitario.

Nel caso specifico, l’impresa ricorrente aveva espresso in cifre un ribasso del 32,1288%, che tradotto in lettere risultava invece del «trentaduevirgolamilleduecentoventotto», cioè leggermente più basso (32,1228%). Risultato: la stazione appaltante ha premiato con l’aggiudicazione un’altra impresa titolare di uno sconto del 32,1287%. Di qui il ricorso.

Nel primo grado di giudizio il Tar ha dato ragione all’amministrazione. Il bando aveva chiarito che ai sensi del regolamento appalti (Dpr 207/2010, art. 119, comma 2), in caso di discordanza, a fare testo sarebbe stata l’indicazione in lettere. Mentre i ricorrenti avevano invocato, senza successo, l’applicazione un regio decreto del 1924 (Rd 827/1924, articolo 72) secondo cui, nel caso di contrasto tra numeri e lettere, bisognerebbe attribuire priorità all'offerta più vantaggiosa per l'amministrazione.

Questa interpretazione è stata bocciata dall’Adunanza plenaria che, pur rilevando come ancora attuale e sussistente il contrasto normativo tra il regolamento appalti e il regio decreto mai abrogato, ha innalzato a principio generale il criterio di scelta che nell’articolo 119 del Dpr 207 fa riferimento all’aggiudicazione degli appalti al massimo ribasso con il sistema dei prezzi unitari.

Valorizzare l’offerta con lo sconto più vantaggioso per l’amministrazione, per i giudici comporterebbe, delle controindicazioni insuperabili. Prima tra tutte l'impossibilità di stabilire ex ante quale sia l'offerta più vantaggiosa per la Pa. Visto che « nel contrasto tra offerta espressa in lettere ed offerta espressa in cifre, quella che in astratto può apparire maggiormente vantaggiosa, potrebbe condurre, invece, ad una sua esclusione per anomalia». Senza dimenticare le possibili violazioni del principio dell’«unicità dell’offerta». «L'errore di scritturazione, qualunque ne sia la causa, che determina discrasia tra l'offerta espressa in lettere e quella espressa in cifre - argomenta la sentenza - , potrebbe condurre l'Amministrazione a valutare la più vantaggiosa tra le due soltanto in una fase successiva alla individuazione delle offerte degli altri concorrenti, con conseguente lesione del divieto di offerte plurime e della par condicio fra i concorrenti».

Al contrario i giudici ribadiscono che la tutela della concorrenza «costituisce la più importante ratio ispiratrice dell'intera normativa del settore dei contratti della Pubblica Amministrazione e, in quest'ottica, anche la giurisprudenza di settore deve necessariamente orientarsi».

Di qui la scelta di far assurgere l’indicazione contenuta nell’articolo 119 del regolamento appalti a criterio generale. Quella norma, per i giudici, è «indubbiamente» orientata «all'effettiva parità fra coloro che partecipano ad una gara pubblica, poiché impone alla commissione un comportamento univoco, non soggetto a interpretazioni virtualmente difformi».

Diversamente, l'art. 72 del regio decreto n. 827 del 1924 «opera con precipuo riferimento all'interesse economico-finanziario dell'amministrazione», come dimostra il suo inserimento all'interno di un sistema normativo finalizzato alla contabilità generale dello Stato «e l'intenzione di addossare sull'operatore il costo dell'errore in sede di compilazione dell'offerta». Per questo non va considerata valido per gli appalti e andrà utilizzato soltanto «nelle ipotesi di procedure ad evidenza pubblica aventi ad oggetto la stipula di contratti passivi, come la vendita o la locazione di beni».

La sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2015

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