Urbanistica

Il Tar Lazio «stana» le residenze sanitarie mascherate da cohousing

I giudici spiegano la differenza tra le due organizzazioni e, per la prima volta, definiscono il «senior cohousing»

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di Massimo Frontera

Il modello del cohosing si realizza pienamente quando le persone scelgono liberamente una situazione abitativa «caratterizzata da un alto livello di condivisione delle scelte, da legami di collaborazione e socialità, dalla condivisione di molti spazi e servizi», senza che intervenga una «erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno da parte di terzi, dai quali dipenda (anche solo parzialmente) l'organizzazione dell'ambiente». Così la seconda Sezione-bis del Tar Lazio (sentenza n.1286/2022 pubblicata il 3 febbraio scorso) nel giudizio su un contenzioso che ruota appunto sulla definizione del cohousing - nel caso particolare di coabitazione fra persone anziane - cioè un modello abitativo non ancora definito nei suoi precisi contorni giuridici.

Il fatto
Una cooperativa sociale del comune romano di Fiumicino ha preso in affitto un immobile che è stato prima dato in comodato alla stessa coop e poi subaffittato a cinque anziani che venivano assistiti con servizio alimentare e sanitario. In assenza di un parere igienico-sanitario, il comune ha imposto alla presidente della coop sociale di chiudere la struttura e «ricollocare» gli ospiti presso i rispettivi familiari. La presidente della coop sociale ha impugnato l'ordinanza sostenendo che la struttura non configurasse una residenza sanitaria per anziani bensì appunto un cohousing dove gli anziani ospitati erano «capaci di intendere e di volere, in buone condizioni di salute», con ciascuno un proprio alloggio, spazi comuni (salone, cucina) e con «partecipazione collettiva alle pulizie e alla preparazione dei pasti».

Le argomentazioni del Tar
Le argomentazioni del ricorrente vengono respinte dai giudici, il quali concordano sul fatto che il cohousing - nato in Danimarca negli anni '60 come risposta al disagio abitativo e poi diffusosi in Europa e nel mondo - in Italia non è «ancora disciplinato in modo organico». I giudici propongono pertanto di definire il "senior cohousing", cioè fra persone anziane, andando per esclusione, cioè indicando cosa il cohousing sicuramente non è. E sicuramente il cohousing non si realizza «quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l'erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno da parte di terzi, dai quali dipenda (anche solo parzialmente) l'organizzazione dell'ambiente». Nel caso specifico, invece, gli anziani erano assistiti da un'organizzazione, anche perché effettivamente bisognosi di assistenza, a causa di patologie varie, e solo parzialmente autosufficienti. La situazione descritta, insomma, configura una organizzazione finalizzata a erogare servizi di assistenza a chi non è totalmente autosufficiente. Tutt'altra cosa da una coabitazione «tipizzata dalla piena volontarietà della condivisione abitativa, in condizione di piena autosufficienza e senza l'intermediazione di soggetti terzi esterni a detta esperienza».

Contratto di coabitazione, spese comuni e prestazioni accessorie
Ancora più chiaro il commento alla sentenza che si legge sul sito della giustizia amministrativa. «Quando i cohouser - si legge nel commento illustrativo della pronuncia -sono persone anziane, per distinguerlo da una fattispecie ordinaria di residenza assistita, caratterizzata dalla concomitanza o prevalenza funzionale di prestazioni tipiche dei servizi sociali (assistenza morale, materiale, medica, infermieristica e così via a persone non autosufficienti o non del tutto autosufficienti) bisognerà avere riguardo al complessivo equilibrio tra le obbligazioni dedotte in contratto. Solo quando queste ultime saranno riconducibili esclusivamente o principalmente alla regolazione delle spese comuni (affitto, luce, gas, alimenti), che possono anche includere ma solo ove non prevalenti sulle prime, prestazioni accessorie ed eventuali da parte di terzi (come visite domiciliari di personale medico o infermieristico o di assistenza sociale), si potrà identificare nella fattispecie dedotta una forma di "cohousing" con conseguente inapplicabilità delle previsioni attinenti l'autorizzazione ed i requisiti altrimenti previsti dalla legislazione regionale sulle residenze (come nel caso di specie la LR Lazio nr. 41/2003)».

L'intermediazione immobiliare
I giudici valorizzazano anche gli aspetti economici della vicenda. La presidente della coop sociale ha preso in affitto l'immobile (per 10.800 euro l'anno), dandolo in comodato gratuito alla stessa coop di cui è presidente, riscuotendo da ciascuno dei cinque ospiti un corrispettivo di 1.200 euro al mese a fronte della «messa in uso» di una singola stanza, delle parti comuni e dell'erogazione di vitto e assistenza continuativa. Anche la sproporzione di questi rapporti economici - fanno notare i giudici - smentisce il modello del cohousing, «proprio in ragione della reciproca diretta cooperazione dallo stesso predicata». Conclusione: la struttura non ha nulla a che fare con il cohousing ma è invece una normalissima struttura socio-assistenziale priva delle necessarie autorizzazione, correttamente inquadrata come tale dal comune di Fiumicino.

Possibilità di regolarizzare la Rsa
Il Tar concende comunque la possibilità di una regolarizzazione della struttura sanitaria "clandestina", a tutela della parte più debole di questa vicenda, cioè gli anziani stessi. I giudici, infatti, accolgono l'impugnativa relativamente alla parte dell'ordinanza comunale che disponeva lo sgombero degli anziani, «dovendo la stessa essere rimeditata in parte qua dall'Amministrazione, anche con riferimento alla possibilità degli anziani di permanere in loco con adeguato titolo negoziale, senza intermediazioni di sorta, a differenti condizioni e con la dovuta assistenza».

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