Appalti

Infrastrutture, la Consulta blocca il fondo investimenti da 83 miliardi: serve l'intesa con le Regioni

di Giorgio Santilli

Nuova tegola sugli investimenti pubblici e su quelli infrastrutturali in particolare. La Consulta ha infatti accolto il ricorso della Regione Veneto e ha dichiarato incostituzionale il fondo investimenti di Palazzo Chigi - che vale attualmente 83 miliardi fino al 2033 di cui 15 spendibili entro il 2020 - «nella parte in cui non richiede un’intesa con gli enti territoriali» sui Dpcm che distribuiscono le risorse, quando i settori destinatari rientrano nelle materie di competenze regionali.

La decisione della Consulta richiama (anche con un rimando esplicito nel dispositivo) quanto accadde con la legge obiettivo del governo Berlusconi nel 2003, quando la Consulta impose con la sentenza 303, in ossequio al principio di «leale collaborazione», che le opere strategiche ammesse al piano straordinario dovessero essere individuate in seguito a intese con le Regioni.

Anche in questo caso, per salvare il fondo sarà necessaria l’intesa con le Regioni (o anche i comuni quando vi sia anche competenza comunale) anche se la Consulta evita di specificare stavolta quale debba essere lo strumento di intesa. «Il carattere plurisettoriale del fondo e l’eterogeneità degli investimenti da finanziare – afferma la Consulta – non consentono a questa Corte di precisare qui se l’intesa debba essere conclusa con la singola regione interessata o con una delle conferenze menzionate», vale a dire la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza unificata Stato-regioni-città. Nel caso della legge obiettivo, invece, la sentenza impose l’accordo con le singole regioni e questo di fatto svuotò la straordinarietà di quel piano, facendo lievitare il numero di opere da poche decine a varie centinaia, in seguito a una trattativa estenuante regione per regione.

A pesare, oggi come allora, un titolo V della Costituzione che non ha risolto il problema di una chiara e netta separazione di competenze tra Stato e regioni in molti dei settori interessati dai finanziamenti del fondo.

Il fondo investimenti, istituito dalla legge di bilancio 2017, è lo strumento “centralizzato” a Palazzo Chigi di pianificazione di lungo periodo delle risorse in settori strategici che vanno dalle infrastrutture di trasporto alle reti idriche, dalla ricerca alla difesa del suolo, dell’edilizia scolastica alla internazionalizzazione delle attività industriali, dall’informatizzazione della giustizia alla prevenzione del rischio sismico. Un primo Dpcm, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 27 settembre 2017, ha ripartito i 46 miliardi stanziati dalla legge di bilancio 2017, mentre un secondo provvedimento di Paolo Gentiloni per ripartire i 36 miliardi stanziati dalla legge di bilancio 2018 è stato inviato al Consiglio di Stato.

La Consulta precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale «non produce effetti sui procedimenti in corso» qualora riguardino i diritti costituzionali delle persone. Solo una parte degli interventi avviati quindi (in particolare vengono citati ad esempio gli interventi antisismici nelle scuole e l’eliminazione delle barriere architettoniche) sembrano fatti salvi dagli effetti della sentenza.

La sentenza della Consulta sul maxi-fondo investimenti della presidenza del Consiglio

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