L’assenza di profitti fa uscire gli enti pubblici dal campo dell’Iva
Per i giudici europei va assunto a riferimento il modello dell’imprenditore
Quasi tutti i servizi resi dagli enti pubblici sono forniti a prezzi inferiori ai costi di produzione. Questo porta frequentemente a detrarre l’Iva in misura assai superiore rispetto al debito che sorge dalle operazioni attive imponibili, e che risulta conveniente sotto il profilo economico.
Lo scenario rischia di essere messo in crisi da due sentenze della Corte di Giustizia Ue – la C-612/21 e la C-616/21 – secondo cui, per essere rilevante ai fini Iva, e consentire quindi la detrazione, un’attività economica deve essere caratterizzata da proventi tali da coprire i costi. Se applicate tout-court, queste indicazioni comporterebbero l’esclusione da Iva di molte attività degli enti, con conseguente indetraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti.
La prima sentenza affronta il caso di un Comune che fornisce ai cittadini pannelli fotovoltaici o altri impianti di energie rinnovabili; il prezzo sostenuto dall’ente è coperto per un massimo del 25% dei costi sovvenzionabili (inferiori ai costi effettivi) dai proventi versati dai cittadini e per un 75% da contributi regionali. Dato atto che l’onerosità di un’attività è un presupposto essenziale per l’applicazione dell’Iva, la Corte riscontra che la (singola) fornitura di pannelli è un’operazione a titolo oneroso, senza che la sua quantificazione in misura inferiore al costo assuma alcun rilievo, poiché questa circostanza non è tale da compromettere il nesso diretto tra la prestazione e il corrispettivo. Ben più complessa è l’ulteriore verifica sull’esercizio di un’attività economica da parte dello stesso Comune. Essa non può che svilupparsi attraverso l’esame dell’insieme delle condizioni in cui l’attività si realizza, avuto riguardo al comportamento tipo che adotterebbe un imprenditore del settore.
In questo contesto la Corte ribadisce che quando un Comune recupera con i proventi una minima parte dei costi, mentre il saldo è finanziato da contributi pubblici, uno scarto così elevato tra proventi e costi è tale da suggerire che i primi non possano essere considerati come reali corrispettivi. La Corte aggiunge che, se anche si prendessero in considerazione i contributi pubblici, il totale delle somme percepite rimarrebbe inferiore all’insieme dei costi effettivi, il che non corrisponde all’approccio che avrebbe adottato un imprenditore. Nel caso in esame il Comune assume solo il rischio di perdite, senza avere una prospettiva di profitto. Non basta: lo stesso imprenditore tipo non avrebbe poi accettato di introitare direttamente importi non superiori al 25% dei costi rimanendo in attesa della sovvenzione pubblica, perché un simile comportamento avrebbe posto le sue finanze in una posizione deficitaria e provocato incertezza rispetto sui rimborsi regionali.
In quanto non conforme al comportamento di un operatore del settore, la fornitura di pannelli non ha, per il Comune, carattere economico e resta esclusa da Iva. Con l’ovvia conseguenza dell’indetraibilità dell’Iva sui costi del servizio. A questo punto, oltre alla constatazione che il livello di copertura dei costi nella maggior parte delle attività degli enti è sotto i parametri della Corte, un’osservazione: il riferimento a un imprenditore animato da fini di profitto non appare in linea con l’articolo 9 della direttiva, secondo cui si considera soggetto passivo Iva chiunque esercita un’attività economica indipendentemente dallo scopo o dai risultati. Nonostante la qualifica di soggetto Iva possa quindi spettare a enti con finalità non lucrative, le due sentenze impongono il modello dell’imprenditore che mira al profitto. Una vera forzatura.
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di Marco Castellani (*) - Rubrica a cura di Ancrel