Progettazione

L'equo compenso per i professionisti è legge, ora la partita si sposta sui parametri

Per quasi tutte le professioni ordinistiche i valori presi a riferimento sono quelli stabiliti da decreto ministeriale 140/2012 e andranno aggiornati

di Federica Micardi

L’equo compenso per i liberi professionisti è legge. Ieri l’Aula della Camera ha dato il via libero definitivo al Ddl che impone ai cosiddetti contraenti forti di riconoscere un giusto compenso alle prestazioni professionali. La votazione si è conclusa con 243 voti favorevoli, 59 astenuti e nessun voto contrario .

La norma appena approvata, fusione di due proposte di legge, una di FdI (prima firmataria Giorgia Meloni) e l’altra della Lega (primo firmatario Jacopo Morrone) definisce equo un compenso che sia proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai parametri previsti da specifici decreti ministeriali. Per quasi tutte le professioni ordinistiche i valori presi a riferimento sono quelli stabiliti da decreto ministeriale 140/2012 e andranno aggiornati. Si tratta degli importi utilizzati nei tribunali in caso di contenzioso sulle parcelle. L’unica professione ordinistica ad avere parametri recenti è quella degli avvocati (Dm 147/2022).

Per le professioni non ordinistiche ex lege 4/2013, i parametri verranno stabiliti da un decreto del ministero delle Imprese e del Made in Italy da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. I parametri però possono essere bypassati. In base all’articolo 6 della legge appena approvata le imprese possono adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali che si presumono equi fino a prova contraria. Una possibilità fortemente criticata dalle associazioni sindacali.

La legge sull’equo compenso si applica alle prestazioni d’opera intellettuale regolate da convenzioni, svolte anche in forma associata o societaria, verso, banche, assicurazioni, imprese con più di 50 dipendenti o ricavi superiori a 10 milioni; pubbliche amministrazioni, con l’esclusione delle società veicolo di cartolarizzazione e degli agenti della riscossione. La nuova norma non si applica alle convenzioni in corso sottoscritte prima della sua entrata in vigore.

Da una stima effettuata dal Sole 24 Ore e pubblicata lunedì 3 aprile, soggette alla nuova normativa saranno 27mila pubbliche amministrazioni e 51mila aziende private. Una platea che, secondo molti, è ancora troppo ristretta e andrebbe allargata.

In base alla legge diventano nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, così come nulli sono i patti che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l’anticipazione di spese o che attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Nulla anche la clausola che prevede termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura. La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto.

L’azione per l’applicazione dell’equo compenso può essere avviata dal professionista o dai consigli degli Ordini o dei collegi; questi ultimi, come anche le principali associazioni che rappresentano le professioni non regolamentate possono proporre anche un’azione di classe.

Ordini e collegi hanno la facoltà di adottare disposizioni deontologiche per sanzionare la violazione, da parte del professionista, che accetta un compenso non equo. Non è però prevista un'analoga possibilità per le professioni prive di Ordini o collegi.

La legge sull’equo compenso prevede, all’articolo 10, l’istituzione presso il ministero della Giustizia di un Osservatorio sull’equo compenso che avrà il compito di vigilare sull’applicazione e sul rispetto delle regole appena approvate.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©